Spazio: trovato in Botswana un frammento dell’asteroide esploso il 2 giugno

MeteoWeb

E’ stato trovato nella riserva faunistica del Kalahari in Botswana, lo scorso 23 giugno, un frammento dell’asteroide 2018 LA esploso il 2 giugno al confine con il Sudafrica, subito dopo il suo ingresso nell’atmosfera: si tratta della seconda volta che si recuperano i frammenti di un asteroide intercettato al momento dell’impatto.

Il ritrovamento si deve a un gruppo internazionale di esperti di Botswana, Sudafrica, Finlandia e Stati Uniti, basato su calcoli di NASA, Seti Institute della California e Finnish Fireball Network (FFN).

L’asteroide era stato rilevato 8 ore prima di colpire la Terra dal programma Catalina Sky Survey dell’Università dell’Arizona. Diverse persone in Botswana e nei paesi vicini hanno assistito all’evento.

E’ la terza volta che il Catalina Sky Survey, programma finanziato dalla NASA, rileva un asteroide prima dell’impatto. Il primo evento di questo tipo ha riguardato l’asteroide 2008 TC3 che si è frantumato nel cielo del Sudan il 7 ottobre 2008 a 19 ore dall’avvistamento, consentendo accurati calcoli predittivi della traiettoria. Il secondo caso è quello dell’asteroide 2014 AA caduto l’1 gennaio 2014 sopra l’Oceano Atlantico, a poche ore dalla sua rilevazione.

La prima osservazione dell’asteroide è stata effettuata quando si trovava circa alla stessa distanza della Luna e i dati del telescopio Catalina sono stati subito inviati al Centro per i Corpi Minori di Cambridge, che ha calcolato la traiettoria preliminare. I calcoli sono poi stati verificati dal Centro per gli Studi degli Oggetti Vicini alla Terra del JPL della NASA, che ha confermato l’alta probabilità di impatto e ha attivato gli avvisi automatici, nonostante i 2 metri circa di diametro di 2018 LA non rappresentassero un pericolo. Sono stati poi i due telescopi del progetto Atlas, dell’Università delle Hawaii, a consentire di individuare il punto d’impatto.

Il meteorite è stato ritrovato dopo cinque giorni di cammino e ricerche degli studiosi dell’Università internazionale di scienze e tecnologie del Botswana, del Botswana Geoscience Institute e del Centro di ricerca Okavango, con la collaborazione dei ranger del parco.

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