Sintomi anche molto diversi fra loro, che colpiscono una persona con diabete su 3. Dal formicolio ai piedi accompagnato da ‘frustate’ di dolore bruciante alle gambe, allo stomaco che rifiuta di ricevere il cibo (o lo vomita), fino agli improvvisi mancamenti in chi, alzandosi in piedi, vede tutto nero.
Una costellazione di segni ‘spia’ della neuropatia diabetica, condizione che, secondo gli ultimi dati epidemiologici, affligge un diabetico su 3. Il 36% delle persone con diabete presenterebbe infatti una polineuropatia e il 13% una polineuropatia dolorosa, ma la conoscenza di questi disturbi, da parte degli stessi pazienti e di molti medici, è ancora scarsa.
Questo fa sì che il paziente tenda a non parlare dei propri disturbi (tranne in casi estremi) se non adeguatamente sollecitato dal medico, e dunque non riceva una diagnosi e terapie che potrebbero alleviarli. Proprio per fare il punto sulla neuropatia diabetica nelle sue svariate forme, si terrà a Roma dal 4 al 7 settembre il Congresso internazionale ‘Neurodiab 2018’, la 28° edizione del meeting annuale del Gruppo di studio neuropatia diabetica dell’Easd (Società europea per lo studio del diabete), attualmente presieduto dall’italiana Simona Frontoni, professore di Endocrinologia all’Università Tor Vergata di Roma e presidente della Sezione Lazio della Società italiana di diabetologia, Sid.
“La neuropatia diabetica – spiega Frontoni – fa parte delle complicanze croniche del diabete e interessa quasi tutti gli organi e apparati. Si distingue in una forma periferica e in una forma autonomica. La prima interessa i nervi periferici, soprattutto degli arti inferiori; quella autonomica interessa l’innervazione simpatica e vagale del nostro organismo e in quanto tale va a colpire quasi tutti gli organi”.
La forma più importante e pericolosa di neuropatia autonomica è quella cardiovascolare, “perché colpisce la regolazione autonomica del cuore e della pressione arteriosa ed è quindi associata a un’elevata morbilità e mortalità. La neuropatia autonomica può interessare anche il sistema gastrointestinale e quello uro-vescicale“, avverte l’esperta.
Ma esiste anche una forma di neuropatia ‘centrale’. “Abbiamo scoperto – prosegue Frontoni – che il sistema nervoso centrale è in qualche modo coinvolto nella neuropatia autonomica. Nel corso del congresso verranno presentati dei dati del gruppo del professor Solomon Tesfaye (Gb) che dimostrano come esista una grossa componente centrale, per esempio nella percezione del dolore. Anche nel caso dell’Alzheimer, che è molto frequente nel paziente diabetico, sappiamo che esistono delle strette correlazioni tra la forma di neuropatia centrale e quella periferica. E’ ormai conoscenza acquisita che l’Alzheimer sia una importante complicanza del diabete: al congresso il professor Rafael Simò (Barcellona) presenterà un dato sulla possibilità di predire la comparsa di Alzheimer nel diabetico, attraverso lo studio delle alterazioni della retina, evidenziate alla microperimetria retinica”.
La neuropatia “è causata dall’iperglicemia (e molto pericolosi sono anche gli ‘sbalzi’ di glicemia, cioè la variabilità glicemica) che, attraverso meccanismi prevalentemente legati a un’attivazione dello stress ossidativo o dell’infiammazione o all’alterazione dei microvasi che portano nutrimento ai nervi, è responsabile dello sviluppo di neuropatia. Tutti questi meccanismi vanno a danneggiare (stato infiammatorio o di attivazione dello stress ossidativo) e portano in seguito a morte le fibre nervose. Oggi sappiamo che il danno mielinico è molto precoce”.
La buona notizia è che è possibile diagnosticare precocemente la neuropatia diabetica. “Uno dei primi segni e sintomi della neuropatia diabetica – avverte l’esperta – è la disfunzione erettile, che nel diabetico può avere anche cause vascolari, ma che spesso nasconde anche una neuropatia. Sintomi gastro-intestinali, quali un rallentato svuotamento gastrico, possono essere un iniziale segno di neuropatia gastro-intestinale”.
La presenza di una tachicardia fissa e di una scarsa modulazione della frequenza cardiaca è “un altro segno da valorizzare nella diagnosi; più avanti nel tempo compare l’ipotensione ortostatica che è un segno importante, facile da individuare e che è fortemente diagnostico di neuropatia diabetica”.
Quanto alla terapia, quella “più efficace in assoluto è lo stretto controllo metabolico del diabete. Per la neuropatia periferica, ci sono dati interessanti sull’utilizzo di alcuni integratori, quali l’acido alfa-lipoico (Ala) che, se assunto per lunghi periodi può dare risultati, soprattutto se iniziato precocemente. L’Ala è stato utilizzato anche nella neuropatia autonomica, ma con risultati meno robusti, precisa Frontoni.
Nel caso della neuropatia autonomica, “si ricorre soprattutto a terapie sintomatiche, a strategie per l’ipotensione ortostatica e i vari disturbi disfunzionali, come le calze elastiche per facilitare il ritorno venoso, la caffeina per l’ipotensione ortostatica, i farmaci per la disfunzione erettile, i procinetici per la gastroparesi”. Nel caso della neuropatia dolorosa si ricorre all’uso di farmaci per il dolore.
“Per molti anni – spiega Frontoni – sono state utilizzate terapie del tutto aspecifiche con scarso beneficio. Oggi disponiamo invece di un certo numero di classi terapeutiche per il dolore; ampiamente utilizzato è il gabapentin; una grande svolta nella terapia del dolore è stato l’utilizzo della duloxetina che nasceva come antidepressivo, ma che ha poi dimostrato di avere un’efficacia importante nel dolore neuropatico. Nelle forme dolorose possono essere utilizzati infine altri farmaci considerati però di seconda linea, come il tramadolo e l’ossicodone e la più recente associazione ossicodone/naloxone. Le forme dolorose e gravi sono purtroppo molto frequenti. Per questo è così importante fare una diagnosi accurata; troppo spesso i disturbi di questi pazienti vengono sottovalutati o considerati aspecifici”.
Quanto agli ultimi indirizzi della ricerca, molti approcci sperimentali sono orientati a una terapia patogenetica che riesca a riparare il danno nervoso, a normalizzare il nervo, attraverso ad esempio una mielinizzazione. Mancano però ancora i dati sull’uomo. Il topiloxostat ad esempio, un nuovo trattamento testato per ora solo sui topi, si associa alla soppressione delle alterazioni infiammatorie in fase precoce. L’exendin-4sembra favorire i processi di rimielinizzazione. Altre strategie prevedono una crema con nanoparticelle alla resinferatoxina.