821 milioni di persone denutrite nel mondo (dato in aumento di 6 milioni rispetto allo scorso anno) contro 672 milioni di obesi. Uno scenario tragico che vede al centro il cibo e il modo in cui lo produciamo, consumiamo e purtroppo sprechiamo. Partendo dal nuovo dato FAO arriva forte il messaggio della Fondazione Barilla Center for Food & Nutrition (BCFN): “dobbiamo dare vita a una vera e propria “rivoluzione alimentare” se vogliamo risolvere i tre grandi paradossi del sistema alimentare che oggi affliggono l’umanità”.
“Ogni anno nel mondo si gettano 1,3 miliardi di tonnellate di cibo (solo in Italia 145KG pro capite[1]), circa 4 volte la quantità necessaria a sfamare le persone denutrite nel mondo. Dobbiamo invertire questo trend e dar vita a una vera “rivoluzione alimentare” che porti a una trasformazione dell’attuale sistema in un’ottica di sostenibilità. BCFN lavora per ribadire il ruolo centrale del cibo e dell’alimentazione in questo processo di cambiamento. Lo stiamo facendo con vari progetti, come il premio giornalistico Food Sustainability Media Award, e lo faremo anche con il Forum Internazionale su Alimentazione e Nutrizione a New York, dove parleremo della crisi nutrizionale globale e degli impegni che tutti i Paesi hanno preso affinché si possano raggiugere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile entro il 2030”, ha spiegato Luca Virginio, vicepresidente della Fondazione Barilla Center For Food & Nutrition.
Proprio il Forum di New York, realizzato in collaborazione con United Nations Sustainable Development Solutions Network (UN SDSN) e che si terrà il prossimo 28 settembre, è stato organizzato partendo da un assunto: la popolazione mondiale raggiungerà 10 miliardi entro il 2050, ma già oggi non riusciamo a sfamare tutti. Ecco quindi che affrontare i paradossi alimentari globali è fondamentale per raggiungere un futuro sostenibile in grado di garantire cibo per tutti.
I dati della FAO, inoltre, parlano chiaro: tra le cause che hanno portato all’aumento dei numeri della fame, oltre ai prolungati conflitti e alla recessione economica in alcuni Paesi, c’è l’impatto che la variazione climatica sta avendo sull’agricoltura. Per analizzare meglio il fenomeno, si può guardare allo studio “Food & Migration. Understanding the geopolitical nexus in the Euro-Mediterranean”[2], che prende in esame i Paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo, un’area geografica particolarmente vulnerabile ai cambiamenti climatici che può fare da buona pratica a livello mondiale. Lo studio analizza i “numeri” delle migrazioni in quest’area e li mette in rapporto con i cambiamenti climatici dovuti anche alla produzione agro-alimentare: secondo i risultati dell’indagine, ci si aspetta, in concomitanza con estati che riscaldano a un ritmo del 40% superiore a quello globale, una diminuzione delle precipitazioni nel breve (2025) e medio (2050) termine dal 2 al 7%, contro un aumento previsto sul globo tra l’1 e il 4%. I dati mostrano che in futuro, nella regione del Mediterraneo, i cambiamenti climatici e la variabilità climatica potrebbero portare a un riscaldamento di 0.7°C nel giro dei prossimi 20 anni, per raddoppiare entro il 2050.
Questo vuol dire che i Paesi che sapranno sviluppare sistemi agro-alimentari sostenibili, in grado di adattarsi ai cambiamenti climatici, saranno anche quelli che avranno dato vita a un’efficace politica di sensibilizzazione che metta a sistema ambiente, migrazioni e cibo.