Sono già passati 9 anni dall’alluvione che ha colpito la zona del messinese, in Sicilia, ma le immagini di quei drammatici momenti sono ancora ben salde nella mente di tutti e soprattutto di chi li ha vissuti in prima persona.
Una vera e propria bomba d’acqua si è abbattuta sulla Sicilia nord-orientale causando un devastante nubifragio, iniziato la sera del 1º ottobre 2009 e durato per tutta la notte fino al mattino del giorno successivo.
Le immagini riportate dai telegiornali nazionali e locali lasciarono sgomenti tutti gli italiani: il nubifragio provocò lo straripamento dei corsi d’acqua e numerose frane, che hanno a loro volta causato il dannosissimo scivolamento a valle di colate di fango e detriti. I comuni più colpiti si trovano in una zona a sud di Messina, lungo la costa Jonica. Si tratta di località ad elevato rischio idrogeologico e già vittima, in passato, di eventi simili: Scaletta Marina, Giampilieri Superiore, Giampilieri Marina, Altolia, Molino, Santo Stefano di Briga, Briga Superiore e Pezzolo.
Tutto ha avuto inizio con l’intensificarsi di una perturbazione proveniente dalle Isole Baleari, che arrivata in Sicilia ha provocato il nubifragio. In meno di tre ore i collegamenti erano già bloccati: strade e ferrovie erano danneggiate e durante la notte iniziarono a crollare edifici di Scaletta Zanclea e Giampilieri Superiore. Quando, il giorno successivo, la luce illuminò Giampilieri e le altre località, le scene erano di quelle apocalittiche. Numerose persone erano rimaste sepolte sotto al fango, altre si erano rifugiate sopra i tetti delle case e il numero dei dispersi era incalcolabile. Decine di paesi e frazioni erano rimasti completamente isolati e le comunicazioni erano impossibili. Gli aiuti attivati nell’immediato dalla Protezione Civile sono arrivati, per diversi giorni, solo via mare,e questo rese le operazioni di salvataggio ancora più difficili. Acqua e fango avevano coperto tutto. In alcune zone erano scesi 230 millimetri di poggia in meno di quattro ore.
Il 4 ottobre le agenzie di stampa nazionali parlavano di 23 morti, una quarantina di dispersi, 29 feriti ricoverati e 564 sfollati ospitati negli alberghi della zona.
Il 7 ottobre i morti ufficiali erano ormai 25 e l’allora capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso, dichiarò che con molta probabilità anche 10 delle persone ancora disperse, potevano essere considerate morte.
In seguito il numero delle vittime salì a 38.
Entro pochi giorni il Consiglio dei Ministri dichiarò lo stato di emergenza nelle zone colpite.
A portare aiuti furono, secondo i dati forniti dallo stesso Bertolaso, più di 2.386 uomini, tra cui anche militari dell’esercito e Forze dell’ordine, e vennero impiegati 567 mezzi della Protezione Civile.
Già in quei giorni infernali, e poi ancora di più successivamente, le polemiche in merito alle responsabilità di ciò che era accaduto presero piede in Sicilia e nel resto d’Italia.
L’alluvione era stata devastante, ma le istituzioni avrebbero potuto sicuramente fare di più, quanto meno per evitare i danni. Lo stesso Guido Bertolaso additò l’abusivismo edilizio come una delle concause della distruzione di intere strutture. La procura di Messina aprì un’inchiesta per disastro colposo. Le concause che hanno contribuito a rendere catastrofica l’alluvione di Giampilieri e delle località limitrofe sarebbero anche altre e non tutte dovute alla natura, tra queste l’abbandono del territorio senza alcun controllo, soprattutto a livello forestale; l’aumento della piogge torrenziali; la lentezza burocratica nel mettere in sicurezza del territorio; la sottovalutazione del rischio in quelle aree.