Si è concluso ieri, domenica 4 novembre, il 32esimo incontro internazionale dedicato alla Fenilchetonuria, anche conosciuta con la sigla inglese PKU, iniziato giovedì 1 novembre nelle sale dell’NH Palace di Mestre (Ve). Hanno partecipato illustri esperti provenienti da ogni parte del mondo, che insieme stanno facendo il punto su questa malattia metabolica rara, tuttora ancora poco conosciuta nel nostro Paese nonostante rientri negli screening neonatali già dal 1992. Ora, però, è un momento particolarmente importante per i pazienti adulti affetti da questa patologia, che nel mondo interessa 50.000 persone dove solo in Italia, considerate tutte le varianti della malattia, colpisce 1 bambino ogni 2.581 nati. Sono stati illustrati i dati della ricerca qualitativa realizzata da Atstrat, la società di consulenza che ha gestito l’evento di co-creazione con il contributo incondizionato di BioMarin, tenutasi in due momenti, tra giugno e settembre, e che ha coinvolto 21 pazienti adulti (14 donne e 7 uomini) provenienti da tutta la Penisola e aderenti a 4 associazioni pazienti che per la prima volta hanno lavorato insieme a un progetto di tale portata. Fino a prima di questo momento, infatti, ci si era sempre soffermati perlopiù sulle problematiche in età pediatrica di questi malati. Hanno accolto la proposta di partecipare al progetto di ricerca le Associazioni Cometa A.S.M.M.E., Associazione Studio Malattie Metaboliche Ereditarie, A.P.M.M.C., Associazione per la Prevenzione Delle Malattie Metaboliche Congenite, AMMeC, Associazione Malattie Metaboliche Congenite ONLUS e Associazione Iris, Malattie Ereditarie Metaboliche Onlus.
I dati emersi dalla ricerca qualitativa sugli adulti affetti da Fenilchetonuria, la malattia metabolica rara caratterizzata dalla mutazione genetica del gene PAH che si presenta alla nascita dando alla vita regole ferree sin da subito e che se non adeguatamente presa in carico può portare a conseguenze drammatiche come gravi ritardi cognitivi e una lunga serie di sintomatologie correlate, hanno evidenziato due punti chiave.
Il primo ha a che fare con l’elemento della socializzazione, da sempre in Italia abbinato perlopiù a momenti convivialidove il cibo è il filo conduttore che unisce più persone a una stessa tavola. Ma chi è affetto da PKU, che caratterizza fortemente anche l’identità degli interessati, non sempre può parteciparvi. A meno che non abbia ricevuto gli strumenti per organizzarsi al meglio e non si senta supportato nel farlo. «Oggi, l’integrazione è possibile», rassicura Marcello Giovannini, Professore Emerito di Pediatria all’Università degli Studi di Milano e Presidente di A.P.M.M.C. «Un tempo i ragazzi con fenilchetonuria, così come i centri che la curavano erano pochi. Con l’avvento dello screening obbligatorio per legge, lo scenario è decisamente cambiato: i pazienti con PKU non sono più “rari” in senso stretto. Anzi, sono molto più frequenti di quanto si pensi.Bisogna allora che inizino ad organizzarsi e a unirsi per progetti comuni in questa nuova era digitale, creando per esempio app di delivery per la pku, che chiedano che le pizzerie offrano impasti ad hoc, che facciano conoscere ai ristoranti le loro esigenze nutrizionali in modo che diventino luogo di incontro e di socialità», suggerisce Giovannini.
Questa capacità di comunicare i bisogni della propria malattia, però, si coltiva già dalla tenere età. «C’è tanto da fare, a cominciare dalle famiglie. L’esempio è importante e fino a che i ragazzi non sono cresciuti, bisogna continuare a essere vigili e spiegare loro il perché è bene organizzarsi per affrontare le emergenze, come rimanere fuori a pranzo o a cena, e seguire con correttezza l’alimentazione proposta dai medici e dai dietisti e nutrizionisti dei centri di riferimento», puntualizza Simonetta Menchetti, Presidente AMMeC. «Da presidente di un’associazione pazienti con malattie metaboliche, mi è capitato di dover parlare più volte con i genitori convinti che “massì, un pezzo di pane o un pezzo di carne cosa vuoi che faccia?”. Non è così, la dieta è un salvavita per questi ragazzi e devono essere coscienti del perché seguirla con tutte le attenzioni del caso sia fondamentale. Questo non vuol dire farli sentire diversi, ma far diventare naturale e dunque normale il loro modo di alimentarsi. Che è aproteico. Ho sentito anche persone che in alcune realtà del nostro Paese hanno difficoltà a dire ai nonni che i loro nipoti hanno la PKU, come se si vergognassero. Ma di questa malattia, invece, dobbiamo rendere partecipi tutti. Perché il benessere è un fatto che riguarda tutti». Per diventare pazienti sempre più esperti, serve quindi informazione e conoscenza approfondita della patologia. «I pazienti adultidevono essere consapevoli del fatto che la Fenilchetonuria li accompagnerà per tutta la vita. Non devono sfuggire alle problematiche che incontreranno come alcuni invece tendono a fare. Crescendo si troveranno in situazioni diverse. Un esempio? Una donna affetta da PKU in gravidanza ha bisogno di essere ancora più consapevole di ogni cambiamento del suo corpo. Alcuni pazienti, invece, tendono a prendere le cose un po’ alla leggera. Bisogna parlare ancora di più di questa patologia metabolica, ancora tante persone non sanno nemmeno che cos’è. Non è un limite perché tutti possono raggiungere i propri obiettivi nella vita, ma è una gestione diversa della propria quotidianità e se lo si apprende con l’adeguata cura non è nemmeno di ostacolo alla convivialità. Spesso, però, capita che alcuni pazienti adulti siano ancora gestiti dai genitori», sostiene Anna Maria Marzenta, Presidente di Cometa A.S.M.M.E.
Il punto qui, però, non è il solo cibo. «I ragazzi affetti da Fenilchetonuria devono sì seguire una dieta adatta per la loro patologia, ma dobbiamo anche ricordarci che le emozioni che vivono sono le stesse di tutti gli altri.I bisogni di stare insieme e confrontarsi con i coetanei pure», osserva Maria Calderone, Presidente dell’Associazione Iris. «Questa ricerca ha messo in luce differenze regionali importanti: deve essere anche l’occasione per adottare le best practice delle Regioni più virtuose. Dobbiamo occuparci della vita emotiva dei ragazzi e far sì che la loro malattia non sia limitante, in nessun ambito della vita. Devono trovare tutto ciò che occorre loro quando vanno all’università, in palestra, o in altri luoghi che frequentano gli adulti. Si può fare, basta sapere quali sono le esigenze dei malati di PKU». Condivisione a 360° è la linea guida da seguire, quindi. «I nostri pazienti devono essere informati e formati, per conoscere la malattia sin da piccoli. Non si deve commettere l’errore di rimandare una spiegazione per paura di soffrire:un paziente consapevole oggi sarà un paziente responsabile domani, saprà gestire tutto ciò che lo riguarda senza dubbi o incertezze e saprà inoltre lui stesso fare comunicazione nel mondo, spiegare e rendersi veicolo di informazioni anche per i meno esperti, destando attenzione e curiosità positive che potranno aiutarlo a sentirsi integrato nel mondo e parte di esso», puntualizza il Professor Marcello Giovannini.
Il secondo aspetto emerso all’interno della ricerca qualitativa è l’importanza dei centri di riferimento. Ma c’è più di un però. «Ci sono pochissimi centri di cura in Italia che curano le malattie metaboliche. Queste patologie si dovrebbero studiare di più all’Università, ci dovrebbe essere più attenzione per le esigenze dei pazienti adulti con malattie metaboliche. Molti giovani malati sono ancora in carico nei reparti pediatrici, e questa è una malattia che dura tutta la vita», commenta Anna Maria Marzenta. E, aggiunge Marcello Giovannini, «la PKU richiede scelte assistenziali che determino e individuino una rete assistenziale che punti sulla formazione degli operatori sanitari affinché abbia un respiro europeo». Ma, in alcune realtà, rimane il problema della disomogeneità dei centri di cura. «Non affligge solo l’Italia, anche all’estero si trova la stessa problematica. Basti pensare alle linee guida di gestione, anche queste non sono uniformi tra i vari stati e tuttora vi sono molte differenze tra i centri che hanno in cura i pazienti. Bisognerebbe prendere il meglio da ogni centro ed eliminarne solo il peggio. Serve più comunicazione e collaborazione, più volontà di costruire insieme un futuro migliore piuttosto che avere gli occhi puntati solo sul presente e sul particolare, in una visione più globale e sociale», conclude il Presidente di A.P.M.M.C.
A questa ricerca ha fatto seguito un altro momento importante per i pazienti adulti affetti da Fenilchetonuria. A chiusura dei lavori dell’E.S. PKU Conference, le 4 Associazioni Pazienti si sono incontrate per pianificare le attività da fare insieme nell’arco del 2019. Tutti i presidenti hanno più volte sottolineato il ruolo determinante di un’azione sinergica volta a dare il migliore futuro possibile ai ragazzi che tra qualche anno saranno sempre più grandi e con bisogni ancora diversi.
Perché l’unione fa la forza e il benessere di tutti. Non solo dei malati, ma anche delle persone che li circondano.