Una commissione scientifica che abbia il compito di analizzare e valutare le cause della rottura dell’argine del fiume Reno, che ha provocato l’esondanzione nella Bassa Bolognese tra il 2 e il 3 febbraio scorsi. A chiederla è il consigliere regionale del gruppo misto Gianluca Sassi.
I tecnici e gli uffici regionali avevano rilevato “la necessità – spiega Sassi – di ricostruire un tratto dell’argine per la presenza di un rischio di sifonamento” e per questo “è stato costruito un argine secondario a protezione del cantiere che, secondo le affermazioni della giunta regionale, avrebbe non solo le stesse caratteristiche di tenuta dell’argine originale ma anche un’altezza superiore”.
Inoltre, il consigliere sottolinea come, per la Giunta regionale, “l’opera non presentava elementi di fragilità” e “all’origine di quanto accaduto c’è una piena di straordinaria portata, superiore di ben 81 centimetri a quella record del 2014” e, ancora, “se il contrargine realizzato non fosse stato più alto di quello originale, l’erosione avrebbe interessato un tratto ben superiore ai circa 60 metri di arginatura colpita, raggiungendo i 150-160 metri”.
Infine, “dalla relazione tecnica – aggiunge il consigliere – emergerebbe come i tempi di realizzazione della nuova arginatura rientrino nella media di quelli relativi alle opere pubbliche, sulla base delle norme vigenti, delle procedure da seguire e degli adempimenti richiesti”. Ma Sassi sottolinea anche come “questi assunti siano, oggettivamente, di parte e possano far sorgere il dubbio che ci possa essere una volontà di copertura di responsabilità o di non ammettere eventuali errori anche non strettamente intenzionali”.
Per questo motivo, Sassi impegna l’esecutivo regionale a “procedere all’istituzione di una commissione scientifica che abbia il compito di analizzare e valutare le cause della rottura arginale del fiume Reno”.