Auguri! Mancano ancora i festeggiamenti di Cambogia e Tailandia (potenza di internet che soddisfa tutte le curiosità!), ma con la celebrazione del Capodanno cinese, il 5 febbraio, si può dire che quasi tutta l’umanità sia entrata nel nuovo anno. Una particolare congiuntura astrale fa sì che l’anno che abbiamo appena iniziato sia particolarmente promettente: è “l’anno del maiale d’oro”, che capita ogni 60 anni.
Speriamo. Ci sono altri buoni auspici, oltre a quelli degli astronomi cinesi. Gallup international association (Gia), nel suo tradizionale sondaggio di fine anno Global hope, ci dice che le aspettative di un 2019 migliore del passato sono per esempio in aumento per chi vive in Africa, in India e in America latina. Invece le aspettative dei cittadini sono negative in Turchia, Serbia, Regno Unito, Polonia, Repubblica Ceca, Bosnia, Bulgaria, Hong Kong, Francia, Italia, Corea del sud. Kancho Stoychev, presidente della Gia, così commenta:
Da decenni assistiamo a questo paradosso, la gente che vive nei Paesi più ricchi tende a essere più pessimista in merito al nuovo anno. Sembra che il timore di perdere quello che si possiede sia più forte del timore di non avere abbastanza.
C’è chi pensa che comunque, nel bene o nel male, il 2019 sarà un punto di svolta, e lo dice in modo ruvido. È l’opinione di Pietro Raitano, direttore di Altreconomia, che apre il suo editoriale con un titolo che non si dimentica: “Se il 2019 verrà ricordato come l’Oh shit! Moment dell’umanità”, cioè “il momento in cui, merda!, ci accorgiamo di aver sbagliato tutto”.
Un giorno, fra non molto, qualcuno ci chiederà conto di quel che accadde nel primo ventennio del 21° secolo. I nostri figli, i nostri nipoti ci diranno: “Perché non avete fatto nulla per fermare il cambiamento climatico?”. Oppure: “Perché lasciavate morire i migranti in mare?”, o ancora: “Perché tutto quell’odio?”, e magari “Come mai regalavate i fatti vostri alle multinazionali, mentre quelle non pagavano le tasse?”. E ci sarà traccia, di questi anni. Forti di quelle tracce, di quelle testimonianze, molti avranno il coraggio di guardare negli occhi i loro figli e i loro nipoti, rispondendo “Ho fatto quello che ho potuto”. Altri terranno gli occhi bassi. Attenzione alle tracce che lasciamo: la storia registra tutto, la storia dirà chi siamo stati, ovvero chi siamo.
Noi dell’Alleanza speriamo di lasciare una traccia senza vergogna. Tuttavia, se non vogliamo farci illudere da chi ci racconta dei maiali d’oro, il succo di queste considerazioni è che gli abitanti dei Paesi ricchi, invece di continuare a lamentarsi per quello che inevitabilmente deve cambiare nel loro stile di vita perché siamo in piena tempesta perfetta, dovrebbero cominciare a preoccuparsi perché non fanno abbastanza per salvare il Pianeta e l’intera umanità. L’articolo di Nature sulla carbon tax che raccontiamo sul sito ci dice che la resistenza non viene solo da personaggi alla Donald Trump, ma è ben radicato negli egoismi delle opinioni pubbliche occidentali. Eppure la temuta accelerazione dei fenomeni climatici sta già avvenendo, come testimoniano oggi numerosi giornali, sulla base di rilevazioni di satelliti tedeschi e italiani (per fortuna c’è anche questa Italia): i ghiacciai antartici si stanno sciogliendo più rapidamente del previsto; la caverna che si è aperta sotto uno di essi, il Thwaites, ha le dimensioni di Manhattan e può avere un effetto domino tale da minacciare le città costiere per l’innalzamento dei mari.
Geografie ignote che rischiamo di imparare nel peggiore dei modi. Urge cambiare rotta, ma nei diversi interventi di esponenti dell’Alleanza, abbiamo sempre ribadito che un percorso di sviluppo sostenibile in termini ambientali non è percorribile se non affrontiamo anche i problemi delle diseguaglianze, come mostra l’esperienza francese di queste settimane, perché non si può scaricare sui più deboli il costo della transizione ecologica. È necessaria una strategia integrata, che tenga conto dell’insieme degli Obiettivi dell’Agenda 2030, perché privilegiarne solo alcuni può rendere insostenibili altri aspetti dello scenario. Si deve anche essere pronti ad affrontare le contraddizioni del progresso sociale. Per esempio, il sociologo Maurizio Ambrosini, nell’articolo su Avvenire “Lo sviluppo spinge a partire. La mobilità umana oltre i luoghi comuni” segnala un paradosso.
Gli studi di economia dello sviluppo spiegano che quando un Paese comincia a svilupparsi è molto probabile che per un primo non breve periodo l’emigrazione aumenti. Cresce infatti il numero delle persone che accedono alle risorse necessarie, mentre nello stesso tempo lo sviluppo favorisce l’istruzione, apre le menti, suscita nuove aspettative.
I giovani africani sanno ormai che la via del deserto e del mare è praticamente chiusa. Ma chi conosce l’Africa di oggi ci dice che la voglia di cambiare, nelle menti più aperte, è tanto forte da diventare una sorta di rito iniziatico, a cui molti ragazzi comunque non sanno sottrarsi. Uno spreco spaventoso di risorse umane che non sappiamo gestire.
L’Europa non può continuare a baloccarsi tragicamente con problemi di questa complessità senza una visione comune. Già la settimana scorsa abbiamo segnalato il “Reflection paper: Towards a Sustainable Europe by 2030 ” della Commissione europea, che tra l’altro nei Policy highlights (pag. 118) cita l’ASviS come miglior esempio per l’azione nella società civile. Il portavoce dell’Alleanza, Enrico Giovannini, ha sottolineato più volte che dei tre scenari delineati dalla Commissione solo il primo, di rafforzamento dei poteri all’interno dell’Unione per realizzare gli Obiettivi dell’Agenda 2030, può indicare una strada percorribile se non si vuole finire nel disastro. E il “Reflection paper” è solo un primo timido passo, come ha detto Giovannini nella sua rubrica “Scegliere il futuro” su Radio radicale.
Probabilmente il Consiglio europeo discuterà di questo documento sotto la presidenza rumena, ma è evidente che sarà il nuovo Parlamento e la nuova Commissione europea a dover rendere attuale una delle tre opzioni. Peraltro il Parlamento europeo e anche il Consiglio avevano espresso già un chiaro indirizzo per disegnare anche il quadro finanziario pluriennale per il futuro dell’Unione proprio intorno all’Agenda 2030. I contrasti che ci sono stati all’interno della Commissione probabilmente ci saranno anche in campagna elettorale e anche nella discussione tra Paesi membri. Infatti una parte della Commissione non vuole rinunciare all’idea che la crescita economica sia il fattore su cui tutte le risorse devono essere concentrate, nella famosa impostazione “trickle down”, cioè del cosiddetto gocciolamento delle risorse dai più abbienti ai più pover, nella convinzione cioè che la crescita economica non è solo condizione necessaria, ma anche sufficiente per il benessere complessivo delle persone. Invece, come sottolineato più volte dal vicepresidenti Frans Timmermans e dal commissario Jyrki Katainen nella preparazione di questo documento, la transizione ecologica verso un’economia circolare, una finanza sostenibile, un modo diverso di concepire la nostra vita, anche con attività produttive orientate alle dimensioni sociali, sono una condizione non solo necessaria per evitare l’esplosione delle tensioni, ma anche per stimolare quell’ondata di investimenti che potrebbe veramente rinnovare il nostro modo di vivere e di produrre.
Il portavoce dell’ASviS è stato poi invitato a discutere di Europa con Frans Timmermans, (che è anche Spitzenkandidat, leader socialdemocratico nelle prossime elezioni europee), in apertura della Convenzione per la presentazione dei candidati alle Primarie del Pd, domenica 3. In quell’intervento Giovannini ha avanzato proposte concrete per lo sviluppo sostenibile in Europa.
L’articolo 3 del Trattato dell’Unione europea impegna l’Unione a contribuire “alla pace, alla sicurezza, allo sviluppo sostenibile della Terra, alla solidarietà e al rispetto reciproco tra i popoli”. I problemi cominciano dall’articolo successivo, perché la divisione dei compiti tra Paesi e Unione è stata fatta quando si pensava che appunto il mondo sarebbe andato necessariamente verso un futuro migliore e le politiche sociali servivano soltanto a compensare un po’ di danni che magari quelle economiche facevano. Non come un pilastro fondamentale. E allora bisogna fare una riflessione, che magari parta dall’Italia, Paese fondatore, insieme ad altri: qual è l’assetto ottimale dei poteri tra Paesi e Unione? Il sistema attuale non è adeguato. Possiamo noi costruire un futuro sociale dell’Europa quando di fatto tutte le competenze sono a livello nazionale? Una delle proposte del rapporto Uguaglianza sostenibile è di creare veramente sindacati europei transnazionali perché la difesa dei lavoratori deve essere un tema europeo unificante.
La seconda cosa che si può fare subito, e sono contento che il “Reflection paper” della Commissione lo citi, è cambiare il modo con cui si fa il Semestre europeo, che non era stato immaginato solo per le crisi finanziarie, ma per l’Europa 2020, cioè come un piano a medio termine. L’Europa deve fare il suo nuovo piano al 2030 e quindi cambiare il Semestre europeo non lasciandolo solo delle mani dei ministri delle Finanze, ma creando nuove strutture, anche se questo non vuol dire buttare a mare la sostenibilità del debito.
Terza proposta molto concreta e immediata, se ci fosse l’accordo sul primo dei tre scenari: accettare, come per esempio ha fatto in Spagna il governo di Pedro Sánchez, di cambiare il ministero dell’Ambiente e trasformarlo nel ministero della Transizione ecologica mettendoci dentro l’Energia, l’Innovazione e i Trasporti perché da lì passa lo sviluppo sostenibile. Sánchez ha nominato un ministro che si occupa di questo, Teresa Ribera. Ecc,o la concretezza è possibile; certo, ci vuole molta ambizione, ma senza questa non cambieremo la nostra Europa.
L’Alleanza vuole confrontarsi con tutte le forze politiche e l’invito di Giovannini alla Convenzione del Pd testimonia la disponibilità ad ascoltare chi propone programmi di ampio respiro e parla, ci sembra, un linguaggio diverso rispetto al frastuono della cronaca quotidiana. L’attenzione all’operato dell’ASviS può anche portare a qualche imprecisione. Nel pur ottimo inserto “Buone notizie”, del Corriere della Sera, martedì 5, si attribuisce alla Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile un giudizio sul Reddito di cittadinanza espresso nel corso di una audizione parlamentare. In realtà l’audizione e il giudizio sono della Alleanza contro la povertà, organizzazione che fa parte dell’ASviS ma che, come tutti gli aderenti, esprime posizioni autonome. L’imprecisione è stata segnalata ed eliminata, ma nel frattempo la rapidità con cui le notizie circolano in rete non ha impedito che altre testate la diffondessero.
L’ASviS ha però anche una sua capacità di sintesi, attraverso i gruppi di lavoro ai quali partecipano esperti dei 220 soggetti che ne fanno parte. Sta elaborando analisi e proposte che presenterà il 27 febbraio alla Camera dei deputati, come annunciato questa settimana. L’obiettivo è confrontarsi con le forze politiche in merito alla legge di bilancio e alle misure più importanti che la accompagnano, verificando anche il cammino percorso rispetto agli impegni che molti partiti e movimenti avevano assunto sulle proposte dell’ASviS nel corso della campagna elettorale.
di Donato Speroni