Malati ma che un po’ medici di se stessi, chiamati quotidianamente a gestire in autonomia la propria patologia. Sono le persone con diabete – ben 4,2 milioni in Italia (ma 1 milione non sa di esserlo), 66 mln in Europa e 425 mln nel mondo – costrette a prendere in media 50 ‘decisioni’ al giorno per adattare la propria terapia alla vita quotidiana.
Un ‘lavoro’ che richiede circa un’ora al dì tra ripetute misurazioni della glicemia necessarie a decidere la dose di insulina da fare, ‘calcolo’ e ‘dosaggio’ del cibo da mangiare, e ‘preparazione’ in caso di attività fisica, per citare alcune voci. Un monitoraggio e una gestione che avviene quasi sempre in totale autonomia.
Le nuove tecnologie possono offrire un valido supporto nelle decisioni del paziente: big data, algoritmi intelligenti e progressi tecnologici hanno dimostrato di poter facilitare e migliorare tutto questo. Alle sfide future basate sull’utilizzo delle nuove tecnologie, la raccolta e l’analisi di grandi quantità di dati e l’applicazione di algoritmi intelligenti per facilitare e supportare i pazienti nelle decisioni terapeutiche, è stato dedicato un incontro per media e blogger, promosso da Roche a margine della 12esima Conferenza internazionale Advanced Technologies & Treatments for Diabetes (Attd) che si apre questa sera a Berlino.
Vivere con il diabete richiede dunque un’attenzione costante e l’analisi di numerose informazioni e dati in una rigorosa autogestione che assorbe molta energia e mette a dura prova il paziente. Il tutto aggravato da quella che viene definita ‘inerzia clinica’, attribuibile non solo al malato, ma anche ai medici e al sistema assistenziale in generale.
Come dimostrano i dati: secondo lo studio ‘Guidance’, condotto in 8 in Paesi europei, Italia compresa, solo un diabetico su 2 (il 53,6%) raggiunge i valori di emoglobina glicata (HbA1c) inferiori al 7%, considerata la soglia di buon controllo, e solo il 6,5% delle persone ottiene tutti i target di cura per HbA1c, pressione arteriosa e colesterolo ‘cattivo’ Ldl, due tra le condizioni più frequentemente associate al diabete di tipo 2. Troppo spesso questo fa sì che il trattamento sia più reattivo che preventivo e segua poco gli standard di cure.
“La possibilità di disporre dei dati clinici è fondamentale perché aiuta a individuare schemi o problemi non prevedibili nel regime terapeutico e offre enormi benefici specialmente nell’interazione medico-paziente. Permette infatti di affrontare preventivamente i rischi e le sfide terapeutiche, aumentando la consapevolezza e motivazione dei pazienti oltre a ridurre il rischio di complicanze a lungo termine”, ha affermato Oliver Schnell dell’Università Ludwig-Maximilian di Monaco.
“Ma i dati non bastano – ha avvertito – perché bisogna raccoglierli e analizzarli in modo strutturato per sfruttare appieno il loro potenziale”. Un approccio efficace, secondo l’esperto, è la gestione integrata personalizzata del diabete che vede una raccolta di dati a 360 gradi da parte del medico per rendere la terapia su misura del paziente. Un approccio che ha dimostrato, nello studio ‘Pdm’ (Personalized Diabetes Management), non solo di ridurre i livelli di HbA1c dello 0,5% rispetto al gruppo di controllo, ma di migliorare la soddisfazione per la cura e nell’interazione medico-paziente”.
“L’accesso a grandi quantità di dati, l’uso di algoritmi intelligenti e le analisi predittive offrono un enorme potenziale che ci aiuta a comprendere meglio gli effetti della terapia e dello stile di vita nella gestione quotidiana del diabete, creando così solide basi per una decisione terapeutica informata”, ha spiegato Lars Böhm, Healthcare and Life Sciences Consulting Leader di Ibm Services.
Le soluzioni integrate per la gestione del diabete comprendono nuovi modi di far interagire dispositivi innovativi per il monitoraggio del glucosio, per la somministrazione di insulina e le soluzioni di Digital Health attraverso un approccio olistico alla gestione della terapia.
“Stiamo ampliando il nostro ecosistema aperto per la gestione del diabete, coinvolgendo tutte le parti interessate dal processo di cura e utilizzando le tecnologie più all’avanguardia”, ha riferito Marcel Gmuender, Global Head di Roche Diabetes Care. “L’integrazione dei dati del sensore impiantabile sottocute per il monitoraggio continuo del glucosio Eversense nell’App mySugr – ha spiegato – fornisce informazioni molto rilevanti e di aiuto per i pazienti e i loro medici”.
Un ecosistema aperto, quindi, che ha la possibilità di interagire con diversi strumenti – si pensi ai dispositivi oggi disponibili, come i più noti device indossabili quali lo smartphone con la App contapassi o con altre applicazioni che raccolgono le informazioni in modo automatico nella vita quotidiana del paziente – E attraverso la digitalizzazione in piattaforme ad hoc da cui partono algoritmi intelligenti, si possono mettere a disposizione dei medici una quantità ingente di dati preziosi per migliorare i risultati e ottenere quegli obiettivi terapeutici ancora oggi non soddisfatti.