Da un farmaco contro il diabete di tipo 2 la speranza di una terapia anti-scompenso cardiaco, che in futuro potrebbe essere somministrata ai malati di ‘cuore stanco’ anche non diabetici. A indicare la strada è uno studio sugli animali pubblicato sul ‘Journal of American College of Cardiology’ da un gruppo di scienziati dell’Icahn School of Medicine at Mount Sinai.
Al centro dell’esperimento l’empagliflozin, una pillola antidiabetica protagonista nel 2015 di un lavoro che venne definito storico: per la prima volta, concludeva la ricerca presentata a un Congresso europeo di diabetologia e uscita sul ‘New England Journal of Medicine’, un farmaco per il diabete si dimostra in grado di ridurre la mortalità cardiovascolare del 38%. Ora la nuova promessa contro una condizione, l’insufficienza cardiaca, debilitante e in continua crescita insieme all’invecchiamento della popolazione.
Nel nuovo studio l’empagliflozin, che abbassa la glicemia riducendo il riassorbimento di zuccheri nei reni, è stato testato su maiali non diabetici nei quali era stato indotto scompenso cardiaco. Su 14 animali, metà ha ricevuto il farmaco e metà placebo. Due mesi dopo, riferiscono gli autori, “tutti i maiali trattati mostravano una migliore funzione cardiaca”: riduzione dell’edema polmonare e dei biomarker spia di insufficienza, ventricolo sinistro meno dilatato e più performante nel contrarsi, cuore rimodellato nella forma. In sintesi, “il farmaco ha invertito lo scompenso”. Riuscendo anche a migliorare il metabolismo cardiaco, ossia rendendo l’organo più forte ed efficiente.
“Questo farmaco potrebbe essere un trattamento promettente per lo scompenso cardiaco nei pazienti sia diabetici sia non diabetici”, commenta Juan Badimon, autore principale della ricerca. “Lo studio – aggiunge il co-autore principale Carlos Santos-Gallego – conferma la nostra ipotesi che vede in empagliflozin non solo un antidiabetico, ma un trattamento di incredibile efficacia per lo scompenso cardiaco”. Nelle sperimentazioni condotte sul medicinale si era infatti osservato che i diabetici, categoria tipicamente ad alto rischio di ‘cuore stanco’, quando assumevano il farmaco Sglt2-inibitore non sviluppavano insufficienza.