Sono “ormai 32” e arrivano da tutto il mondo i bimbi con Ada-Scid – una rara patologia che appartiene al gruppo delle immunodeficienze severe combinate – curati con la terapia genica all’Istituto San Raffaele-Telethon (Sr-Tiget) di Milano. “Lo studio americano sulla Scid-X1 conferma dunque la bontà dell’approccio di terapia genica con cellule staminali contro queste malattie rare, in cui il sistema immunitario è gravemente compromesso, al punto che l’organismo è incapace di difendersi dagli agenti infettivi. Un approccio con vettori lentivirali che da 10 anni stiamo adottando contro altre 4 malattie, con ottimi risultati”.
A spiegarlo all’AdnKronos Salute è Alessandro Aiuti, vicedirettore del Sr-Tiget presso l’Irccs San Raffaele di Milano, che commenta lo studio pubblicato da un team Usa sul ‘New England Journal of Medicine’. Il gruppo di ricercatori del Sr-Tiget, diretto da Luigi Naldini, ha in questo campo un’esperienza quasi ventennale.
“Nel 2000 – ricorda Aiuti – abbiamo trattato il primo piccolo paziente con Ada-Scid. Finora tutti quelli che hanno ricevuto la terapia genica da noi sono vivi e il tempo di osservazione, ormai molto lungo, ci permette di dire che il nostro approccio è sicuro ed efficace”. La tecnologia adottata a Milano “è diversa”, ma l’approccio è simile a quello descritto nello studio americano. “Sulla basa della nostra esperienza – precisa Aiuti – la terapia genica per l’Ada-Scid è diventata un farmaco”.
Il protocollo terapeutico ‘made in Italy’ prevede il prelievo delle cellule staminali dal midollo osseo dei piccoli pazienti, la loro correzione in laboratorio tramite l’introduzione del vettore contenente il gene terapeutico e infine la reinfusione nel bambino. “Il tempo di osservazione dello studio americano è relativamente breve, ma i dati ottenuti su altre malattie – aggiunge l’esperto – ci confortano sull’efficacia di questo approccio. Certo, bisogna sottolineare che i bimbi trattati in America hanno ricevuto la terapia genica a pochi mesi, grazie a uno screening neonatale disponibile in Usa, ma non ancora in Italia. La prossima sfida è poter offrire anche nel nostro Paese lo screening neonatale, perché intervenire prima che si manifestino i sintomi permette di ottenere risultati migliori. In ogni caso, quella che arriva dagli Stati Uniti è una buona notizia: quando dei bambini vengono curati siamo sempre felicissimi”, conclude Aiuti.