Balla che ti passa. Magari con un fiore tra i capelli, ghirlande al collo e le dolci note dell’ukulele ad accompagnare i movimenti di braccia, gambe e fianchi. E’ l’Hula dance, la danza tradizionale delle Hawaii che finisce sotto i riflettori della scienza per una virtù insospettata: abbinata a farmaci, dieta corretta e vita attiva, è in grado di abbassare la pressione alta anche quando i classici protocolli medici falliscono. Lo suggerisce uno studio preliminare condotto sui Nativi hawaiani e presentato a New Orleans dove sono in corso le Hypertension Scientific Sessions 2019 dell’American Heart Association. Secondo gli autori, i risultati indicano una ‘ricetta’ utile a tutti i pazienti del mondo, anche lontano dalle spiagge esotiche del Pacifico. Vanno bene pure “attività culturali simili“, ma proprie di altre popolazioni, spiega Joseph Keawe’aimoku Kaholokula, autore principale del lavoro e presidente del Dipartimento Salute dei Nativi hawaiani all’università delle Hawaii di Manoa, Honolulu. “In particolare se includono un’attività fisica conforme alle linee guida, e attività sociali che coinvolgono le persone e le stimolano ad adottare modifiche comportamentali salutari – precisa il docente – potrebbero essere usate” come alleate nella terapia di “altri gruppi indigeni: Indiani d’America, nativi dell’Alaska o del Canada, Maori della Nuova Zelanda, aborigeni australiani e così via“.
Non a caso lo studio si è concentrato sui Nativi hawaiani che spesso, nonostante i farmaci, hanno difficoltà a controllare la pressione sanguigna, con un aumentato rischio di malattie coronariche e ictus. “Tra i Nativi hawaiani – sottolinea Kaholokula – patologie cardiache e stroke hanno tassi 4 volte più alti che fra i bianchi non ispanici, e insorgono 10 anni prima che tra gli hawaiani bianchi e asiatici”. Poiché indagini precedenti avevano evidenziato che gli hawaiani prediligono attività terapeutiche di gruppo e vicine alle loro tradizioni, il team di ricerca ha messo a punto “un intervento basato sull’Hula dance che può essere eseguita a diversi livelli di intensità, da uomini e donne a tutte le età“. Kaholokula e colleghi hanno reclutato oltre 250 Nativi hawaiani, età media 58 anni, per l’80% donne, che nonostante i trattamenti antipertensivi mantenevano una pressione sistolica (la massima) pari a 140 millimetri di mercurio (mmHg) o superiore, oppure pari a 130 mmHg o superiore in presenza di diabete di tipo 2.
Dopo 3 sessioni di un’ora in cui i pazienti sono stati informati su dieta, esercizio fisico e corretta assunzione dei farmaci, i partecipanti sono stati divisi a caso in 2 gruppi: uno non ha seguito alcuna misura terapeutica aggiuntiva, l’altro – sempre in aggiunta ai medicinali – ha frequentato classi di Hula dance con lezioni di un’ora 2 volte a settimana per 3 mesi, seguite da una lezione mensile per altri 3 mesi, auto-allenamento e attività di sensibilizzazione su ipertensione e vita sana. Il risultato a 6 mesi? Rispetto al gruppo di controllo, il gruppo Hula mostrava più probabilità di avere ridotto la pressione sanguigna sotto i 130 mmHg per la massima e gli 80 mmHg per la minima (diastolica), nonché più probabilità di aver perso oltre 10 mmHg di pressione massima: un calo che abbassa significativamente il rischio di infarto, ictus e scompenso cardiaco. Miglioramenti che perduravano anche nei 6 mesi successivi. Numeri a parte, riferisce Kaholokula, “i pazienti hanno detto che l’Hula è stata divertente e li ha aiutati a soddisfare i loro bisogni spirituali e culturali“, tanto che “più dell’80% è rimasto nel programma per 6 mesi e il 77% per un anno.
Per David Goff, direttore della Divisione di Scienze cardiovascolari del National Heart, Lung and Blood Institute dei National Institutes of Health (Nih) che hanno sostenuto lo studio, “questi risultati rafforzano l’idea che per la maggior parte delle persone l’attività fisica più salutare è quella che accelera il respiro e il battito cardiaco. Che si tratti di ballare, andare in bicicletta, nuotare, fare surf o escursioni, la chiave è muoversi sempre più spesso. E farlo in compagnia può aiutare a mantenersi attivi nel tempo”. “Questo studio – commenta Eduardo Sanchez, Chief Medical Officer Prevenzione dell’American Heart Association – è un ottimo esempio di come gli interventi sanitari possano essere più efficaci se declinati culturalmente” in base ai valori e alle tradizioni delle popolazioni alle quali si applicano. “Questo – aggiunge – è un approccio che può essere facilmente applicato ad altri gruppi e stili di ballo, dal liscio alla salsa”, per centrare l’obiettivo di “una vita più lunga e più sana“. Chiosa Mapuana de Silva, esperta di danza hawaiana e consulente della ricerca: “Mentre i benefici fisici dell’Hula dance sono chiari“, non vanno sottovalutati altri suoi effetti positivi come “la nascita di rapporti amicali familiari, l’aumento dell’autostima e dell’accettazione degli altri“. In una parola, “è lo spirito Aloha“. Un saluto, ma anche una filosofia.