“Sarebbe stato un atto di pura incoscienza”. Non ha dubbi l’ingegner Alberto Scotti, a giudizio del quale attivare il Mose per fermare l’acqua alta a Venezia “sarebbe stato come guidare una Ferrari senza i freni”, perché l’opera non è ancora finita. Il padre del Mose (“più che il padre, sono il nonno del Mose”, scherza) lo spiega in un’intervista pubblicata su ‘la Repubblica’ in cui sostiene che “tecnicamente era possibile sollevare le barriere, ma poi non saremmo stati in grado di seguire la marea, perché gli impianti non sono pronti. Per alzarle nel tempo utile di una mezz’ora, come avverrà quando il Mose sarà a regime, servono tre compressori. Ad oggi ne abbiamo solo uno. Ci avremmo impiegato cinque ore, non aveva senso”.
E aggiunge: “il Mose si può azionare solo quando l’acqua raggiunge un certo livello, intorno agli 80-90 cm. Non si può e non si deve farlo prima. E comunque se anche avessimo chiuso le bocche del Lido e di Chioggia, lasciando aperta quella di Malamocco dove il test di prova ha mostrato vibrazioni anomale nelle condotte, sarebbe cambiato poco: forse dieci centimetri di acqua in meno rispetto ai 187 che si sono avuti”.
Cosa si rischiava? “L’allagamento delle gallerie dove ci sono i tecnici a lavorare. Senza collaudo, e con un solo compressore, il mare sarebbe passato sopra le paratoie“. Insomma attivarlo “sarebbe stata una follia”.
”Capisco l’esigenza della politica, perché la popolazione è stremata, ma il Mose non può ancora essere azionato in sicurezza“, sottolinea Scotti precisando che “ai tempi di Giovanni Mazzacurati, il Consorzio diffondeva cronoprogrammi del tutto impossibili da rispettare. Ora abbiamo una data di consegna realistica: 31 dicembre 2021. Stavolta ce la faremo”. E infine conclude, a difesa della sua creatura, “il Mose è un sogno: raggiunge l’obiettivo di difendere Venezia senza che si veda. Funzionerà anche con maree alte tre metri. E non trasformerà la Laguna in una palude”.
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