“Fino a oggi – spiega Ciro Indolfi, presidente della Sic – impiantavamo le valvole cardiache per via percutanea soltanto a pazienti anziani o con molte patologie, con un rischio operatorio elevato: per questi pazienti la Tavi ha costituito un vero salvavita, perché non c’erano altre opzioni sicure per intervenire in caso di stenosi aortica I nuovi dati a disposizione indicano che la Tavi offre gli stessi risultati della chirurgia tradizionale anche nei pazienti più giovani e a basso rischio operatorio, rivelandosi addirittura migliore in termini di incidenza di morte, ictus, re-ospedalizzazione ad un anno: il rischio di ictus, per esempio, si riduce del 50%.
Questo significa che potremo evitare un intervento cardiochirurgico a migliaia di pazienti più giovani: una notizia molto positiva, perché non esiste una prevenzione o una terapia farmacologica per la stenosi aortica e purtroppo si tratta di una patologia in aumento”.
“In Italia – ricorda Indolfi – il 2% della popolazione in età avanzata, pari a circa 250.000 persone, ha una stenosi severa con indicazione all’intervento di sostituzione; quando compaiono i sintomi infatti l’aspettativa di vita si riduce drammaticamente, con una sopravvivenza media di 2-3 anni in persone con angina o sincope e di soli 1-2 anni in pazienti con scompenso cardiaco. L’unica strategia efficace per allungare e migliorare la vita è quella di impiantare una nuova valvola cardiaca”.
Nella chirurgia tradizionale, il torace del paziente viene aperto, il cuore fermato e successivamente viene sostituita la valvola aortica: l’intervento dura ore, viene eseguito in anestesia generale e con la circolazione extracorporea, richiede una degenza e una riabilitazione lunga. Con la Tavi invece l’unica incisione è un piccolo foro nell’inguine, dove viene inserito il catetere che raggiunge il cuore per portare la nuova valvola e gli strumenti necessari a eseguire l’intervento, della durata di meno di un’ora in tutto.
“La Tavi rappresenta la più grande innovazione tecnologica della Cardiologia dopo gli stent coronarici – aggiunge Indolfi – e i nuovi dati che si stanno accumulando, soprattutto gli studi randomizzati e controllati pubblicati sul New England of Medicine e presentati all’ultimo American College of Cardiology hanno dimostrato una sua grande efficace anche nei pazienti a basso rischio. È una vera rivoluzione della cardiologia moderna”.
Il recupero post-Tavi è rapido, la dimissione avviene in tre o quattro giorni. I nuovi dati implicano che in futuro sarà sempre più possibile scegliere la procedura interventistica con una selezione accurata dei pazienti resta comunque indispensabile. “Come tutte le nuove tecnologie – afferma Francesco Romeo, presidente della Fondazione il Cuore siamo noi – il costo iniziale della Tavi è alto, ma si prevede in un immediato futuro, come è accaduto con gli stent coronarici, una importante riduzione dei costi dei materiali. Inoltre i dati sinora disponibili dimostrano una buona funzionalità di queste valvole nel tempo, non inferiori a quelle biologiche chirurgiche”.
“Di certo – prosegue Romeo – questi dati allargano le indicazioni all’uso della Tavi, che nel nostro Paese invece è tuttora poco utilizzata: si effettuano solo 77 impianti per milione di abitanti, un numero inferiore alla media europea, e molto inferiore alla Germania dove ne vengono effettuati un numero triplo e alla Svizzera dove il numero di Tavi è doppio rispetto all’Italia”.
Buone notizie anche per le donne che devono essere sottoposte all’intervento di impianto percutaneo della valvola aortica. “Infatti, per la prima volta nell’interventistica cardiaca tutti gli studi pubblicati dimostrano che l’impianto di Tavi va meglio nel sesso femminile – afferma Carmen Spaccarotella, cardiologa interventista al Policlinico universitario di Catanzaro – nonostante le donne abbiamo arterie più piccole. Questi risultati sono opposti a quelli ottenuti nell’impianto di stent coronarici dove i risultati migliori si ottengono nel sesso maschile. Quindi le donne con stenosi aortica possono essere trattate con questa nuova tecnica mini-invasiva”.