Farmaci, l’esperta: “Attenzione ai rischi dagli anti-psicotici agli autistici”

"Ancora oggi nessun farmaco è stato approvato per contrastare i sintomi dell'autismo"
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“Ancora oggi nessun farmaco è stato approvato per contrastare i sintomi dell’autismo. Ma i dati ci dicono che la quasi totalità degli adulti con autismo o disabilità intellettiva e ‘comportamenti problema’ (Di) assume psicofarmaci, soprattutto antipsicotici, spesso in associazioni plurime fra loro. Farmaci studiati per altre patologie, in primis la schizofrenia, e spesso somministrati off label per tutta una vita, senza che siano state fatte sperimentazioni mirate a questa categoria di pazienti”.

A chiedere più studi ad hoc e una maggiore attenzione a questo tema e ai possibili rischi è Daniela Mariani Cerati, medico specialista in farmacologia applicata e componente del comitato scientifico della Fia (Federazione italiana autismo).

“Una volta – dice Mariani Cerati all’AdnKronos Salute – si pensava che questa patologia fosse rara, rarissima. Invece da quando la si studia sappiamo che è frequente e, soprattutto, che dura tutta la vita: meriterebbe finanziamenti enormi, invece gli studi sull’autismo faticano a trovare fondi”.

Non solo: sentiamo parlare di bambini con autismo, “ma questi bambini crescono – continua l’esperta – e spesso a quelli iniziali negli anni si sovrappongono sintomi molto gravi di aggressività, verso se stessi o gli altri. Così non stupisce che l’uso degli psicofarmaci aumenti con l’età, in quanto molti comportamenti problema compaiono o si aggravano con l’adolescenza e l’età adulta. Se però i farmaci più usati in questi pazienti sono gli antipsicotici, un tempo detti tranquillanti maggiori, dobbiamo anche ricordare che la loro indicazione elettiva è la schizofrenia: questi medicinali ‘tolgono’ allucinazioni e deliri negli schizofrenici, ma che effetto hanno davvero per alleviare l’aggressività nelle persone con autismo?”.

Semplicemente non si sa. “Se poi nel caso degli antipsicotici atipici come il risperidone si parla di un sintomo che frequentemente si associa all’autismo come l’aggressività persistente – prosegue la specialista – per ora abbiamo dati su bambini e adolescenti solo a breve termine: non più di 6 settimane. Dunque anche la prescrizione di risperidone diventa off label quando si tratta di adulti e quando si superano, anche nei bambini e negli adolescenti con Di, le 6 settimane”.

A preoccupare Mariani Cerati è il fatto che “alcune sperimentazioni ci hanno detto che a 6 mesi l’efficacia si riduce. Insomma, l’effetto tranquillizzante di questi medicinali si manifesta solo in acuto ed è possibile che, se si continua a somministrali per anni e anni, il beneficio vada perso. Quello che vediamo nella realtà, non solo in Italia ma a livello internazionale, è che questi farmaci si iniziano da bambini e non si smettono più”.

L’esperta, autrice di un’analisi su www.pernoiautistici.com, invita gli specialisti del settore a porsi il problema. “Anche perché – ribadisce – alcune ricerche ci dicono che dopo un po’ questi medicinali perdono di efficacia”. Quello che resta sono gli effetti indesiderati. “Inoltre è documentato che questi medicinali possono favorire declino cognitivo in persone che hanno una disabilità intellettiva. Dunque il punto è questo: abbiamo a che fare con persone che hanno un grande bisogno di sostegno, ma stiamo dando loro dei farmaci che servono a qualcosa, oppure no? Uno psichiatra francese – racconta l’esperta – ha esaminato adulti con autismo che hanno continuato queste terapie negli anni contro le crisi di aggressività. Lo psichiatra ha provato a togliere questi medicinali molto lentamente, per evitare” ‘crisi di astinenza’, “e ha visto che le crisi di aggressività non aumentavano né come numero né come intensità. Questi pazienti iniziano ad assumere psicofarmaci da bambini o adolescenti e continuano spesso fino alla morte: saranno davvero utili?”.

Per Mariani Cerati la risposta è una sola: “Bisogna fare più ricerca, ma in generale in psichiatria se ne fa poca”. Nell’autismo talvolta i passi avanti si fanno grazie alla tenacia dei genitori. “Ricordo il caso di un padre che, dopo ripetuti insuccessi delle terapie, ha contattato un endocrinologo il quale, grazie alle analisi, ha scoperto uno squilibrio biochimico tra Omega 6 e Omega 3 e livelli di vitamina D molto bassi; corretto lo squilibrio la situazione del ragazzo è migliorata. Ecco, forse sarebbe interessante capire se si tratta di un caso isolato, o meno. Un gruppo di ricerca a Bologna, inoltre, ha trovato in un gruppo di bambini con autismo un importante stress ossidativo, e questo sarebbe un altro tema da approfondire”.

Studi sui topi stanno facendo emergere il ruolo del microbiota nella patogenesi dell’autismo. “Sarebbe importante approfondire anche questo tema – sottolinea l’esperta – passando dalla conoscenza della composizione del microbiota a sperimentazioni terapeutiche conseguenti in doppio cieco. Insomma, sui sintomi dell’autismo occorre fare sperimentazioni specifiche, seguendo le regole accettate dalla comunità scientifica internazionale. E pubblicare sempre anche i dati negativi, perché possono essere utili alla ricerca. Inoltre lo specialista dell’autismo (oggi la presa in carico del bambino con autismo è da parte di un medico neuropsichiatra, dopo l’adolescenza diventa l’assistente sociale) dovrebbe poter seguire la persona dalla culla alla tomba”.

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