Il rischio di avere almeno un caso in Europa del nuovo coronavirus che ha paralizzato la provincia cinese dell’Hubei, nelle prossime 2 settimane, è tra il 40% e il 70%, nonostante le chiusure al traffico decise per almeno 10 città: è la valutazione dell’Istituto nazionale francese di salute e ricerca medica, basato su uno studio condotto nelle ultime ore da un gruppo di ricercatori, tra cui anche italiani.
“Fare previsioni è estremamente difficile, e dipende tutto dalla sorgente, anche in considerazione che i numeri variano da un giorno all’altro“, spiega Vittoria Colizza, laurea in fisica alla Sapienza e dottorato in fisica alla SISSA di Trieste.
L’analisi prevede due scenari: uno “a bassa esportazione”, ovvero che dalla Cina si esporti lo stesso numero di casi, 7, registrati fino a ieri tra i viaggiatori partiti da Wuhan nelle due settimane tra il 6 e il 20 gennaio; l’altro “ad alta esportazione”, con un maggior numero di partenze dalla Cina (anche fino a 3 volte lo scenario minimo).
In considerazione dei flussi di viaggiatori in arrivo dalla Cina, i Paesi più a rischio sono Regno Unito e Germania.
L’Istituto francese si avvale di un team ‘REACTing’, una rete multidisciplinare di esperti di malattie infettive emergenti, che ha lo scopo di preparare il Paese a rispondere un’eventuale epidemia, ed ha condotto la ricerca in preparazione dei casi che possano manifestarsi in Europa, in Francia in particolare.
In riferimento alle misure intraprese dalla Cina, secondo gli esperti dell’Istituto chiudere gli aeroporti dell’Hubei, dove ha avuto origine il nuovo coronavirus, non eviterà l’esportazione del virus se nel frattempo l’epidemia si è propagata in altre aree del Paese, come Guangdong, Pechino, Hangzhou.
“Il rischio per l’Europa rimane comunque,” osserva Colizza. In particolare costituiscono un rischio di esportazione di casi verso l’Europa gli aeroporti di Shanghai e Pechino, hub aeroportuali da cui partono flussi importanti per l’Europa.