L’anoressia nervosa, tornata al centro delle cronache dopo la tragica scomparsa di un ragazzo di 20 anni a Torino, è “una patologia molto diffusa (secondo le stime del Ministero della Salute attualmente avremmo circa 8-9 nuovi casi annui ogni 100.000 donne in Italia) all’interno di tutta una vasta gamma di Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione (comprendenti la Bulimia Nervosa, il Binge-Eating, l’ortoressia…) che riguarderebbero 3-4 milioni di italiani”. Lo sottolinea Lucio Rinaldi, dell’UOC di Psichiatria della Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS e ricercatore del Dipartimento di Neuroscienze dell’Universita’ Cattolica Campus di Roma.
“Un ulteriore dato – avverte l’esperto – riguarda l’aumento dell’incidenza di Anoressia nel sesso maschile (da 0,02 a 1,4 nuovi casi ogni 100.000 persone (in un rapporto maschi / femmine di quasi 2 a 8)”.
Con il termine anoressia, spiega Rinaldi, “intendiamo forme psicopatologiche con diverse caratteristiche di tipo biologico, sociale e psicologico. Abbiamo, infatti, forme evolutive (e cioe’ forme tipicamente adolescenziali per le quali la declinazione nel rapporto col cibo costituisce un modo per affrontare il travaglio evolutivo proprio di questa fase della vita). Abbiamo poi forme nelle quali il rapporto con il corpo e con il cibo costituisce una modalita’ attraverso la quale arginare l’irruzione di piu’ gravi patologie psichiatriche. In ultimo abbiamo forme di Anoressia con aspetti che si strutturano durante l’infanzia e l’adolescenza (tratti di personalita’, alterato rapporto con il cibo sin dalla prima infanzia, un controllo radicale dell’esperienza emozionale e relazionale)”.
A seconda del prevalere di questa o quella forma “avremo prognosi migliori (con livelli di risoluzione dell’70-80% circa), prognosi peggiori con possibile cronicizzazione (30-20 %) e forme drammatiche con esito letale (tra 5-10 %). In ogni caso la precocita’ dell’intervento e la qualita’ dello stesso sembrano fondamentali per una tempestiva guarigione”. Per un approccio adeguato, aggiunge, “risultano fondamentali: una buona integrazione fra psicoterapia e farmacoterapia; la presenza di tutti i livelli di assistenza necessari (quali attivita’ ambulatoriali, Day-Hospital, Strutture Residenziali); la tempestivita’ e la specificita’ delle cure in presenza di condizioni fisiche compromesse (presso la Fondazione Universitaria Policlinico Agostino Gemelli IRCCS di Roma esiste un percorso clinic-assistenziale che gestisce questi pazienti dal Pronto Soccorso e indirizza in maniera specifica nei servizi di cura ospedaliera chiamo “Codice Lilla”); un monitoraggio accurato delle risorse presenti nel territorio e l’acquisizione di dati epidemiologici sempre piu’ accurati; il coinvolgimento nel percorso terapeutico della famiglia”.