Il nuovo coronavirus cinese è arrivato anche in Africa, che finora era stata risparmiata: confermato il primo caso in Egitto. Lo ha annunciato il ministro della Salute egiziano, specificando che si tratta di un paziente straniero ricoverato in isolamento in ospedale. “Il cittadino che risulta colpito dal nuovo coronavirus in Egitto è di nazionalità cinese“, ha dichiarato all’agenzia Dire il presidente dell’Associazione dei Medici di origine straniera in Italia, Foad Aodi, in contatto con i medici locali. Il ministro egiziano, in una nota, ha spiegato di aver immediatamente informato l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e di aver preso tutte le misure necessarie per prevenire la diffusione del virus.
“Le persone venute in contatto con il paziente cinese colpito da coronavirus sono circa 300, tutte di nazionalità’ cinese. Provengono da Wuhan e sono state messe tutte in isolamento. È stata isolata anche la sua abitazione. Il gruppo di cinesi – prosegue Aodi – è in quarantena in un centro nei pressi del Cairo, lontano dai centri abitati. Per evitare il panico, per il momento preferiscono non svelare il nome della città egiziana in cui è avvenuto il fatto“.
Ricciardi (Oms): “Caso in Africa non è una buona notizia”
L’arrivo del nuovo coronavirus in Africa “non è una buona notizia. Non tanto perché è il primo caso, ma perché significa che il virus si è spostato in un continente debole dal punto di vista della sanità pubblica, della capacità diagnostica e della capacità di risposta”, ha detto all’AdnKronos Salute Walter Ricciardi, professore ordinario di Igiene e Medicina preventiva all’Università Cattolica di Roma, rappresentante dell’Italia nell’Executive Board dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Capacità di gestione di un’emergenza simile, quella dell’Africa, che “l’Organizzazione mondiale della sanità negli ultimi giorni ha cercato di rafforzare. Quando Tedros (il direttore generale Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus, ndr) parlava di ‘terrorismo’ – precisa l’esperto – si riferiva proprio a questo“, ossia al pericolo che la diffusione del nuovo coronavirus potrebbe rappresentare in nazioni dal sistema sanitario fragile. “Dobbiamo solo sperare” nella capacità dei servizi sanitari di reagire, “e l’Egitto non è certamente un Paese fragile“, osserva Ricciardi. Ma è ancora troppo presto per fare previsioni: “Per prima cosa dobbiamo capire bene la storia di questa persona – precisa – Da dove viene, che cosa ha fatto, come è arrivato in Egitto, che contatti ha avuto“.
Rezza (Iss): “Caso Egitto identificato senza sintomi è un buon segnale”
“Se verrà confermato che il primo caso registrato in Africa“, in Egitto, “riguarda un paziente asintomatico, ciò rappresenta un buon segnale, perché significa che questo paese ha un buon sistema di sorveglianza“. Inoltre “un paziente senza sintomi dovrebbe avere un ridotto potenziale di trasmissione rispetto ad uno con sintomi”. A parlare all’Adnkronos Salute è Giovanni Rezza, direttore del dipartimento di Malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità, che ricorda come, purtroppo, l’arrivo di Covid-19 nel Continente africano fosse “qualcosa sempre tenuta finora, visti i rapporti che esistono tra Africa e Cina, ma – rassicura – questo non significa che comporti un’epidemia”. Rezza, ricordando i timori espressi più volte dal Direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), Tedros Adhanom Ghebreyesus, che ha esortato a rafforzare i meccanismi di protezione nel Continente, premette che “al momento ci sono ancora poche informazioni sull’origine del contagio e sui contatti avuti dalla persona colpita, quindi è impossibile sbilanciarsi. Però – osserva – l’Egitto non è come alcuni paesi del Centrafrica, molto più impreparati, anche se lo Stato nordafricano ha città molto popolose“.
Colizza (Inserm): “L’Egitto può fermare il contagio”
Tra i Paesi africani, l’Egitto è “quello con la maggiore capacità di rispondere a un’eventuale emergenza“: Vittoria Colizza è uno dei ricercatori dell’Inserm, l’Istituto nazionale francese di salute e ricerca medica, che proprio nei giorni scorsi, per conto del governo francese, ha stilato uno studio per valutare la preparazione dell’Africa a reagire e far fronte a un’eventuale epidemia da Covid-19. E lo studio aveva individuato proprio nell’Egitto il Paese a più alto rischio in assoluto di importazione del virus, ma con un’alta capacità e preparazione a rispondere da un punto di vista sanitario all’eventuale emergenza. “Adesso è importante capire quello che succederà, la capacità cioè di fermare il contagio: ho già sentito i colleghi che lavorano in Egitto, sono completamente dediti ma ovviamente concentrati e preoccupati“.
Per evitare un’epidemia “servono molte risorse e un sistema altamente attrezzato, che possa rilevare al più presto il caso sospetto e, nel momento questo sia confermato, abbia la capacità di isolarlo, tracciare i contatti che quella persona ha avuto, monitorare tutte le persone che possono essere potenzialmente contagiate. Sono passi in qualche modo scontati per i sistemi sanitari dei Paesi europei ma non altrettanto altrove: rapida identificazione, isolamento, diagnostica, laboratori ad alta specializzazione e personale super formato. Non è un caso che pochi Paesi africani abbiano deciso di rimpatriare dalla Cina i loro studenti: occorrono non solo risorse e logistica per il rimpatrio, ma strutture e personale adeguati per l’isolamento nel caso eventuale dell’insorgenza dei sintomi“.
Lo studio dell’Inserm ha evidenziato Paesi (oltre all’Egitto, Algeria, Sudafrica) ad alto rischio di importazione del virus e con una capacità medio-alta di rispondere da un punto di vista sanitario all’eventuale emergenza; ed altri, invece, con un rischio tutto sommato moderato e che però hanno capacità molto variabili – alcuni notevoli, altri molto meno – a far fronte a un’eventuale contagio. Sono Paesi come la Nigeria, l’Etiopia, il Sudan, l’Angola, la Tanzania, il Ghana e il Kenya, che sono di fatto vulnerabili e ad alto rischio: perché non è detto che abbiano sistemi sanitari sufficientemente adeguati a rispondere a un’eventuale epidemia. ‘Preparedness and vulnerability of African countries against introductions of 2019-nCoV’ è stato realizzato dall’Inserm insieme ai team di varie università (Universite’ Libre de Bruxelles, l’Istituto francese Malattie infettive e tropicali, l’università di Oxford e quella di Harvard, tra gli altri).
L’epidemia ritrova il suo ritmo dopo l’impennata dovuta ai nuovi criteri di notifica
Dopo l’impennata dei giorni scorsi a causa dell’applicazione dei nuovi criteri, in Cina, l’epidemia provocata dal coronavirus SarsCoV2 ha ritrovato il suo ritmo, facendo segnare solo un leggero aumento. Dopo la decisione di aggiornare i metodi di conteggio, nell’arco di appena 24 ore il numero complessivo era aumentato di quasi 15.000. Oggi le statistiche pubblicate dal sito della community dei medici cinese Dxy indicano cifre molto ridimensionate, con oltre 5.000 casi cumulativi in più, che comprendono cioè entrambi i casi notificati con entrambi i criteri di diagnosi. Tra gli esperti, c’è chi ritiene utile la decisione di adottare i nuovi criteri, chi la considera irrilevante e chi sostiene che tenere il conto delle infezioni diventerà sempre più difficile se l’epidemia continuerà a diffondersi. Poi c’è il problema delle persone asintomatiche, che pur essendo infette, non hanno sintomi e sfuggono così a ogni classificazione, tanto che il virologo Malik Peiris, dell’Università di Kong Kong, li ha definiti un “iceberg invisibile”.
Quarantena a Pechino per chi torna in città
La municipalità di Pechino ha ordinato la quarantena di 14 giorni per chiunque ritorni nella città dopo le vacanze, minacciando punizioni per chi non rispetterà l’isolamento. Per il periodo di quarantena – prevede l’ordinanza – si potrà scegliere tra la propria abitazione o i centri appositi.
Studio contro Oms: sottostima la trasmissibilità
Il coronavirus avrebbe una capacità di diffusione superiore a quella stimata finora dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms): il numero di persone che possono essere contagiate da un soggetto infetto sarebbe pari a 3,28 e non compreso tra 1,4 e 2,5 come ipotizzato finora. A sostenerlo è una revisione di 12 studi, pubblicata su Journal of Travel Medicine dall’università di Umea in Svezia, l’Heidelberg Institute of Public Health in Germania e lo Xiamen University Tan Kah Kee College in Cina. “La nostra revisione dimostra che il coronavirus è trasmissibile almeno quanto il virus della Sars, e questo dice molto della serietà della situazione“, afferma Joacim Rocklov dell’Università di Umea.
Gli Usa si preparano ad un’epidemia per molti mesi: “Difficile dire se sparirà col caldo”
Gli Stati Uniti si aspettano nei prossimi mesi un’epidemia del nuovo coronavirus della polmonite Covid-19. Lo ha detto alla Cnn il direttore dei centri federali della sanità, Robert Redfield. “Non sappiamo molto di questo virus – ha spiegato – ma probabilmente durerà a lungo, andrà oltre l’inverno, forse anche oltre l’anno“. Finora sono stati 15 i casi di contagio dal nuovo coronavirus in sette Stati: otto in California, due in Illinois e uno in Arizona, Washington, Massachussetts, Wisconsin e Texas.
Il ministro della Sanità Usa ritorna sull’opinione espressa da Trump che ad aprile il virus cinese inizierà probabilmente a sparire grazie all’effetto di temperature più miti, come accade con i virus influenzali. Azar condivide l’auspicio del presidente, ma precisa: “Potrebbe invece darsi che il coronavirus risponda come fece quello della SARS, ossia con un adattamento all’ambiente e rimanendo quindi anche nella stagione più tiepida. Il presidente ha espresso una speranza che tutti noi condividiamo ossia che il coronavirus segua la curva epidemiologica auspicata. Ma ci stiamo preparando anche se ciò non accadesse”.