Cittadini bloccati in casa, distribuzione di viveri, foto del termometro e cliniche della febbre: una situazione molto delicata viene vissuta dalle persone bloccate a Wuhan, epicentro della diffusione del coronavirus.
A raccontare l’isolamento della megalopoli da 11 milioni di abitanti sono un infermiere italiano e un medico cinese, Francesco Barbero e Xiaowei Yan, in esclusiva per “Medical Facts“, magazine online di informazione scientifica e debunking delle fake news, con la direzione scientifica di Roberto Burioni.
Da giorni i due sono in quarantena a Roma, ma hanno notizie aggiornate da Wuhan: di seguito la testimonianza pubblicata sul sito del virologo Burioni.
“Da ormai due settimane siamo ospiti delle Forze Armate, sottoposti alla custodia e l’assistenza del personale del Policlinico militare del Celio. Con noi, gli altri 62 connazionali che hanno preferito lasciarsi alle spalle quella vita sospesa, fatta di precauzioni e incertezze. Ma gli aggiornamenti da Wuhan mancano e non solo da parenti e amici: sono circa una quindicina gli italiani che hanno deciso di restare e che aspettano con fiducia il ritorno alla normalità, sebbene ancora prigionieri tra le mura di casa.
La nuova leadership locale, composta da due esperti in pubblica sicurezza, fedelissimi al presidente Xi, ha di fatto irrigidito le condizioni dell’isolamento: se prima un solo componente famigliare poteva uscire di casa per provviste ogni tre giorni, ora non viene concesso neanche di affacciarsi dal cancello. Per mettersi ai fornelli occorre attendere l’arrivo di un “cestino viveri” fornito dall’amministratore del condominio, e almeno una volta al giorno occorre mandare una foto del termometro con la propria temperatura.
Chiunque abbia febbre o presenti i sintomi del virus viene portato in centri di raccolta organizzati in palazzetti sportivi, scuole e università, mentre gli hotel vengono riservati per casi sospetti e contatti.
Tutte misure obbligatorie, talvolta portate a termine con forza: il drammatico caso di una famiglia spezzata dalle misure d’isolamento è costata la vita al figlio disabile di 16 anni, morto di stenti dopo 6 giorni di abbandono.”
“Le cliniche della febbre rimangono aperte, anche se ormai sono pochissimi i casi che passano per la loro porta. Questo sistema di filtri ha consentito la parziale riapertura “virus-free” delle tre principali strutture sanitarie cittadine – il Renmin, il Tongji e l’Union hospital -, almeno per le urgenze non differibili. È la seconda volta che ci provano, e in teoria altri 12 ospedali si aggiungeranno entro il prossimo fine settimana.
A ogni modo, occorrerà fare i conti con il crescente numero di medici, infermieri e operatori rimasti contagiati. Non abbiamo mai mancato di ricordare delle carenze di protezioni per il personale sanitario, delle mascherine “fai-da-te”, delle tute protettive improvvisate. Sono oltre 1.700 gli operatori sanitari colpiti dal coronavirus che hanno già abbandonato le corsie e purtroppo anche tra loro vi sono vittime.
Ora è più facile comprendere le urla dei colleghi di Hong Kong, che fin dai primi giorni chiedevano al loro Governo di chiudere i bordi con la Cina: il prezzo da loro pagato ai tempi della Sars rappresenta una cicatrice mai chiusa. E questa è una lezione che si sta purtroppo ripetendo in Hubei.”
“«Wuhan, diversa ogni giorno». Lo slogan della metropoli, già votata come il luogo più felice della Cina, si scontra con le immagini della città congelata dall’epidemia. Ma nonostante l’isolamento, il metabolismo urbano non si è mai del tutto arrestato: i treni della metro si muovono nel sottosuolo per trasportare materiale sanitario, scorte di cibo e volontari; i netturbini continuano a presidiare silenziosamente strade e marciapiedi; i centri servizi per la comunità non hanno mai abbassato la loro serranda, sebbene la mole di richieste sia tale da vanificare qualsiasi sforzo.
Solo il giorno che abbiamo lasciato Wuhan siamo riusciti ad allargare il nostro sguardo alle altre aree della città. I posti di blocco ci sono, almeno durante il giorno e il pullman su cui viaggiavamo – organizzato dalle autorità Cinesi su mandato della nostra Ambasciata – è stato soggetto ai controlli “di frontiera” come tutti gli altri veicoli.
In aeroporto, forse 1.000 tra Australiani, Egiziani e Neozelandesi aspettavano con noi in una densissima coda. L’unico punto di controllo della temperatura esistente prevedeva il passaggio sotto una termocamera, accompagnato dalla verifica di un modulo sanitario precedentemente compilato. E dopo i tradizionali controlli di passaporto e sicurezza, la corsa verso l’aereo della nostra Aeronautica Italiana, già pronto alla partenza.”
“Ora ci avviamo al termine della nostra quarantena, 14 giorni poi allungati a 17, per essere sicuri di non far correre alcun rischio al nostro Paese. E tanti test, dai fastidiosissimi tamponi rino-faringei ai prelievi di sangue.
Una precauzione dovuta per un virus, e noi ne siamo testimoni, che si è diffuso invisibile tra la gente della nostra città, causando il collasso del mondo che conoscevamo, almeno in Cina.”