“Adriano Trevisan non è un numero, non è la prima vittima italiana del coronavirus, non è un nome e un cognome sul giornale. Adriano Trevisan è mio papà, è il papà di Vladimiro e Angelo. È il marito di mia madre Linda. È il nonno di Nicole e di Leonardo”, sono le parole di Vanessa, la figlia del 78enne di Vo’ morto venerdì 21 febbraio all’ospedale di Schiavonia. Vanessa ha 45 anni, è stata sindaco di Vo’ fino alla primavera scorsa e ora è chiusa in casa, insieme alla madre, per i 14 giorni della quarantena, dopo i risultati positivi dei test eseguiti su di loro.
Vanessa descrive così il padre in un’intervista rilasciata a La Repubblica: “Un leone allegro, a 78 anni era autosufficiente, guidava la macchina e usciva da solo. Nessuno in paese lo chiamava Adriano, per tutti era “il moro” per via della sua carnagione scura. Quand’era giovane ha fondato con 4 amici una ditta edile con decine di dipendenti, ha costruito mezza provincia di Padova. Appassionato di musica lirica, andava all’Arena di Verona a vedere i concerti. In pensione si divideva tra casa e il bar di Vo’, dove giocava a carte. Pensi che quando in ospedale ci hanno chiesto se di recente fosse stato all’estero, mia madre ha risposto che neanche le aveva fatto fare il viaggio di nozze. Non andava in gita, non andava in chiesa o alle bocce, gli piaceva pescare, ecco: quello era il suo vero hobby. Parlava sempre di politica, la sua benedetta politica. Comunista fino all’osso! Io la penso in modo totalmente opposto e infatti facevamo certe discussioni a tavola. Poi però arrivava Nicole, mia figlia che ora ha 13 anni, e lui si perdeva. La chiamava eapiccoa, in dialetto veneto. Prima di Nicole ero io la sua eapiccoa. Siamo una famiglia molto unita. Vorrei che mio padre fosse ricordato per come è vissuto, non per come è morto”.
Ciò che ha più infastidito Vanessa e la sua famiglia è che Adriano Trevisan “sia diventato una cifra. Vittima numero uno del coronavirus. Poi ci sono stati il due, il tre, il quattro… e hanno detto “però era vecchio“, come se la sua età dovesse attenuare il dolore che provo, come se la sua scomparsa fosse meno importante. È morto venerdì e solo adesso che devo sbrigare le pratiche burocratiche, chiamare la banca, telefonare al notaio, comincio a realizzare. Stamani mi hanno chiesto di inviare il suo documento d’identità, sono andata a frugare nel suo portafogli e ho capito che mio papà non c’è più“.
“È anche vero che era cardiopatico e debilitato. Il mio vero rammarico è che il nostro medico di base, quando ha cominciato a sentirsi male, non sia voluto salire a Vo’ per visitarlo. Sosteneva fosse una banale influenza“, ha spiegato. “Stava male già giovedì 13, aveva la febbre e problemi a respirare. Chiamo il dottore, gli riferisco le sue condizioni, ma appunto lui non viene ad auscultargli i polmoni. La domenica, il giorno del suo compleanno, l’abbiamo fatto ricoverare a Schiavonia”. La famiglia inizialmente non ha pensato che potesse trattarsi del coronavirus. “Il medico ci aveva rassicurato. In ospedale, però, non riuscivano a capire cosa provocasse l’infiammazione ai polmoni che gli impediva di respirare. Ci hanno domandato se aveva fatto viaggi, se aveva la passione del giardino per capire se era stato a contatto con fertilizzanti tossici. La dottoressa che seguiva il caso ci diceva di non poter fare il test per il virus perché il protocollo non lo prevedeva per pazienti che non erano tornati dalla Cina, o non avevano avuto contatti con soggetti a rischio. E chi poteva immaginare che Vo’ era diventato un focolaio?”, ha aggiunto.
“Alla fine la dottoressa è riuscita a convincere i suoi superiori dell’opportunità di fargli il tampone, visto che tutto il resto era stato escluso. Gliel’hanno fatto giovedì 20. Venerdì pomeriggio ero in ufficio, mi chiama mio fratello e mi dice che nostro padre ha il virus. Mollo tutto, vado a Schiavonia e trovo il reparto di Rianimazione blindato. La sera è morto. Comunque voglio ringraziare tutto il personale di quel reparto, sono stati angeli: quando papà ha avuto la crisi cardiaca, hanno provato a rianimarlo per 40 minuti. Ben venga l’indagine, ma lui non me lo porta indietro nessuno“. Sulla possibilità che il contagio sia avvenuto al bar Al Sole, Vanessa dice: “Potrebbe essere, perché, pur non essendo un fan di calcio, andava lì quando davano le partite“.
Riguardo le sue condizioni di salute, afferma: “Sto bene, non ho febbre né tosse. Sto con mia madre, abbiamo i nostri piccoli riti per passare il tempo, come il tè delle 16. Ma mi manca Nicole, che è a casa di mio fratello, e non posso lavorare. Posso solo aspettare“.