Una malattia autoimmune e cronica che interessa gli organi e che con il tempo rischia di provocare danni incurabili. E’ il Lupus eritematoso sistemico (Les), patologia rara legata al sistema immunitario che a causa di un ‘cortocircuito’ produce anticorpi per l’organismo che lo ospita.
Un meccanismo che può portare – spiegano – a danni irreversibili a tessuti e organi fondamentali come i reni, il cuore e il cervello. Riconoscerlo e poi curarlo non è semplice, perché ogni paziente può presentare diverse manifestazioni e avere diverse risposte alle terapie. Il Les è stato al centro di un convegno, organizzato oggi a Parma da Gsk, che ha messo a confronto esperienze di medici, immunologi, reumatologi, nefrologi, cardiologi e dermatologi che ogni giorno sul campo si trovano ad affrontare la malattia.
“Abbiamo messo a confronto varie esperienze – commenta Andrea Doria, Ordinario di Reumatologia dell’Università di Padova – sul decorso della malattia, sull’uso del cortisone, sull’accumulo di danno, e su come raggiungere alcuni target terapeutici come la remissione e la bassa attività di malattia, e quello che è emerso sono esperienze simili: l’impiego del farmaco belimumab, primo anticorpo monoclonale espressamente mirato per la malattia, da iniettare autonomamente attraverso una ‘penna’ preriempita, porta un risparmio dell’uso di cortisone e una diminuzione della progressione del Les”.
In particolare si parla del danno d’organo, uno dei rischi maggiori del Les. Questo significa riduzione della qualità della vita, una sopravvivenza minore, diminuzione dell’attività lavorativa. “Quello che abbiamo visto negli studi – continua Doria – è che il belimumab riduce l’attività di malattia, riduce la dose giornaliera del cortisone così come il danno a carico degli organi . Un risultato importante soprattutto nel medio/lungo termine”.
Uno degli argomenti più interessanti legati al Les è sicuramente quello delle donne in gravidanza. Può una donna affetta da Lupus affrontare un percorso di per se già faticoso? Per la reumatologa Laura Andreoli, professore associato degli Spedali civili di Brescia, non ci sono dubbi: “Al giorno d’oggi possiamo di dire sì, la gravidanza nel Lupus è possibile e può avere un esito favorevole, a patto che ci siano delle condizioni particolari. Una delle regole è che la malattia deve essere in buon controllo o in remissione stabile con dei farmaci che possono essere compatibili con la gravidanza, per non rischiare un riacutizzarsi della malattia dovuta alla sospensione di trattamenti non compatibili”.
Fortunatamente molti dei farmaci usati sono utilizzabili sia in gravidanza che in allattamento, ovviamente sempre sotto controllo di un medico. “Uno dei messaggi che diamo alle giovani pazienti che si preoccupano per il rischio di aborti spontanei o malformazioni del feto – aggiunge – è che i farmaci non aumentano questi rischi, ma che una gravidanza li ha naturalmente. Quello che i medici possono fare è cercare di minimizzare i rischi legati alla malattia autoimmune”.
Per riconoscere la malattia bisogna capire quali sintomi possono presentarsi soprattutto all’inizio. A livello cutaneo, articolare, stanchezza e febbre che è stata recentemente inserita nei criteri classificativi nuovi da poco pubblicati. La sintomatologia è variegata ma non originale, deve comunque mettere il dubbio e quindi far chiedere il dosaggio degli autoanticorpi che sono i biomarcatori della malattia. Serve quindi grande esperienza del medico per avere una diagnosi esatta.
“Gli autoanticorpi – spiega Doria – compaiono prima delle manifestazioni cliniche, in un paziente che ha un sospetto di malattia il dosaggio degli autoanticorpi ci consente di confermare la diagnosi. La strategia deve essere quella di diffondere la conoscenza della malattia anche ai medici di medicina generale perché sono loro che vengono a contatto per primi con i pazienti e sono quindi loro quelli che dovrebbero indicare le ‘red flags’ della malattia”.
Come spesso accade, infatti, arrivare prima è fondamentale come conferma Marcello Govoni, ordinario di reumatologia all’Università di Ferrara: “Un inserimento più precoce della terapia immunosoppressiva, tra cui il belimumab, può garantire migliori esiti alla distanza, in particolare nella riduzione del danno e nel minor numero di riacutizzazioni nel tempo, un dato che fa presagire che anche per il Lupus esista una finestra di opportunità terapeutica sfruttando la quale si possano massimizzare i risultati”.