Coronavirus, l’infettivologo Galli del Sacco: “A scatenare tutto questo è bastato un solo caso”

Da "un singolo caso" a un effetto domino che ci porta fino a oggi, con alcune regioni bersagliate dai contagi, zone rosse e sistemi sanitari messi a dura prova
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Da “un singolo caso” a un effetto domino che ci porta fino a oggi, con alcune regioni bersagliate dai contagi, zone rosse e sistemi sanitari messi a dura prova. E’ la fenomenologia dell’epidemia italiana da nuovo coronavirus. Ad analizzarla è l’infettivologo Massimo Galli, primario dell’ospedale Sacco di Milano e docente di Malattie infettive all’università Statale del capoluogo lombardo.

“A causarci tutto questo – spiega all’AdnKronos Salute – è forse bastato un solo caso. Da dove, come, in che termini sia arrivato non so se saremo mai in condizioni di poterlo dire”. Sul Sars-CoV-2 “ci resta ancora parecchio da capire. Non si finisce mai di studiare. Le tre sequenze complete che abbiamo non sono che l’inizio di un lavoro necessariamente più vasto”, assicura.

Cosa sappiamo fino ad adesso? “Possiamo dire che queste tre sequenze formano un gruppo, sono affini, simili. Fanno parte di un cluster”. Cluster nel quale rientrano genomi isolati in altri Paesi europei (in particolare in Germania e Finlandia) e in Paesi dell’America centrale e meridionale, come emerge dalle ricerche che gli studiosi del Sacco e della Statale stanno portando avanti. “Bisognerà vedere in tempi successivi chi è venuto prima dal punto di vista dell’arrivo della malattia, da cosa deriva cosa – puntualizza Galli – Attualmente non siamo in condizione di dire nulla, né di lanciarci in interpretazioni o sospetti che lascerebbero il tempo che trovano e susciterebbero sgradevoli reazioni. E francamente non è neanche il caso di litigare su chi è venuto prima”.

Ma oggi, spiega l’infettivologo, “abbiamo un primo elemento, e cioè che una serie di sequenze isolate in altri Paesi europei e in centro-sud America fanno gruppo con le nostre. Questo ci permette di continuare a lavorare per capirne di più sulla dinamica di diffusione dell’epidemia”. Altro punto: “Andremo anche a cercare di essere più precisi sulla datazione di quello che è il nodo di diramazione di questa epidemia. L’albero di tutti gli altri virus e delle sequenze virali isolate in Cina e altrove ci aiuterà a comprendere se la nostra stima attuale, che vede la Covid-19 entrare nel nostro Paese probabilmente attorno a fine gennaio, potrà essere resa più accurata, verificando anche se il paziente zero sia arrivato addirittura un po’ prima. Sempre che le metodiche siano abbastanza sensibili per consentircelo”.

Sars-CoV-2, continua Galli, “è nato sicuramente in Cina, perché tra l’altro l’animale che ha il virus più simile si chiama Rhinolophus pusillus, è un piccolo pipistrello insettivoro volgarmente detto ‘ferro di cavallo minore’“, diffuso a Oriente. “Il nostro virus umano non è perfettamente identico a quello del pipistrello. Si è adattato, presumibilmente passando per un altro mammifero ed è giunto a noi”. “Per un po’“, ricostruendone la storia nel gigante asiatico, “si è trasmesso a bassa efficienza, fino a dicembre quando c’è stata un’esplosione della trasmissione, con un numero riproduttivo superiore a 2, secondo le stime dello studio molecolare, e solo 4 giorni stimati per il raddoppio dei casi. Fino a che ai primi di gennaio il virus ha dato un forte segno di sé con polmoniti riconosciute con chiarezza”. Nella nostra zona rossa, conclude lo specialista, “la storia non è stata diversa: ipotizziamo che il virus sia rimasto sottotraccia, e dopo alcune settimane di colpo si siano manifestati tutti i casi che covavano nella cenere. Con poche sequenze non siamo in condizioni di fare stime più precise. Vedremo se, con la ricerca che andrà avanti, confermeremo questi primi risultati”.

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