Coronavirus, la virologa dello Spallanzani: “Si attendono picchi in altre regioni”

"In molte regioni la curva dell'epidemia" da nuovo coronavirus, "cominciata più tardi, è in salita"
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“In molte regioni la curva dell’epidemia” da nuovo coronavirus, “cominciata più tardi, è in salita“. Mentre “la crescita dei casi sta rallentando nelle regioni dove l’epidemia è cominciata, altrove invece c’è un aumento sostenuto. Potremmo raggiungere anche in altre zone gli stessi, attuali numeri di Lombardia, Veneto ed Emilia- Romagna in proporzione agli abitanti”. E’ il monito di Maria Rosaria Capobianchi, direttrice della Virologia dell’Istituto Spallanzani di Roma che, in un’intervista al ‘Corriere della Sera’, spiega come sia importante che le misure per il contenimento dei contagi “messe in campo nel resto d’Italia quando ancora c’era tempo per agire” funzionino.

La virologa che con un team rosa ha isolato il coronavirus, dopo il ricovero nell’ospedale romano della coppia di turisti cinesi, osserva che “potrebbe essere un indizio favorevole” il fatto che “l’aumento generale dei casi”, secondo i dati dell’ultimo aggiornamento di ieri, sia “in effetti inferiore a quello del giorno precedente. Ma tanti fattori vanno considerati. L’apparente rallentamento nelle regioni del Nord epicentro dell’epidemia può essere un segnale incoraggiante ma”, frena Capobianchi, “i dati hanno bisogno di consolidarsi nel tempo“.

Quanto al virus Sars-Cov-2, “il confronto tra le sequenze dei genomi pubblicate sui database internazionali, a partire dal 10 gennaio, quando i ricercatori cinesi di Wuhan hanno reso pubblica la prima sequenza, non mostra cambiamenti sostanziali tali da rendere il virus diverso e quindi non più riconoscibile dal sistema diagnostico”.

Il patogeno, aggiunge la virologa, ha “in comune l’80% del genoma” con il virus che ha causato in passato l’epidemia di Sars. Quel virus da un lato ha “avuto una mortalità maggiore”, circa il 10%, ma dall’altro “si trasmetteva meno subdolamente e non dava luogo a infezioni con sintomi lievi. Dunque le catene di trasmissione della Sars si potevano individuare e bloccare”, ed “era più facile arrestare la diffusione”.

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