Sono 3.000, circa il 9% dei casi totali , gli operatori sanitari contagiati dal nuovo coronavirus. Un dato allarmante se si considera che chi è esposto in prima linea per prendersi cura della salute di tutti i cittadini non ha a disposizione sempre gli strumenti più idonei per svolgere la propria professione in massima sicurezza. Secondo gli ultimi dati emersi da uno studio pubblicato sulla rivista internazionale “Science” , i pazienti asintomatici sono considerati i principali veicoli con i quali il virus si muove e si diffonde nella popolazione. In questo senso le categorie più esposte sono proprio gli operatori sanitari che ogni giorno si trovano in una vera e propria “trincea” dovendo spesso sacrificare i propri affetti personali mettendo davanti la loro professione in questa emergenza globale. Nel mondo della salute inoltre le donne in tutto il mondo rappresentano circa l’80% degli operatori sanitari e degli iscritti alle facoltà tematiche: le donne medico quindi rappresentano la categoria più esposta ai rischi che la diffusione del Covid-19 comporta, seppur la mortalità resta più frequente nel sesso maschile.
“Oggi non è più possibile considerare la diagnosi soltanto per i pazienti sintomatici, come dimostrato anche dalla letteratura scientifica: questo comporta il rischio che, se anche gli operatori si ammalano, potrebbe essere interrotta o fortemente ridimensionata la possibilità di curare i pazienti. È dunque necessario mettere in sicurezza tutti noi medici e gli operatori sanitari attraverso un processo diagnostico che possa escluderne la positività e dotarci di tutti i dispositivi di protezione necessari per poter essere a nostra volta efficaci nella nostro compito di supporto e cura dei pazienti positivi – ha dichiarato Rossana Berardi, Direttore Medico, Ospedali Riuniti di Ancona, Università Politecnica delle Marche – Oltre alle paure per la nostra personale sicurezza, siamo preoccupati come medici di poter essere esposti al così alto rischio di contagio e questo ci porta a mettere in sicurezza i nostri affetti più cari, dai figli ai genitori, per evitare che possano essere a loro volta soggetti all’infezione. Si tratta di un aspetto da tenere in considerazione in una situazione emergenziale come quella attuale, che ci impone anche a livello personale di salvaguardare soprattutto i soggetti considerati più a rischio, come ad esempio le persone anziane che spesso si prendono cura dei nostri figli mentre siamo al lavoro”.
La situazione allarmante è certificata inoltre da un articolo pubblicato sulla rivista “The Lancet” che mette in evidenza come con l’accelerazione della pandemia, l’accesso al personale i dispositivi di protezione sanitari sia motivo oggi di forte preoccupazione. Il personale medico ha la priorità in molti paesi, ma la carenza di tali dispositivi è stata descritta nella maggior parte dei casi dalla gran parte delle strutture interessate. Alcuni medici sono in attesa di attrezzature durante la visita a pazienti che potrebbero essere infetti o sono forniti con apparecchiature che potrebbero non soddisfare i requisiti.
“È fondamentale che i governi, sia quello Nazionale sia le giunte regionali, non vedano i lavoratori semplicemente come pedine da schierare, ma come esseri umani. Nella risposta globale alla pandemia, la sicurezza degli operatori sanitari deve essere garantita. Gli operatori sanitari, dai medici agli infermieri, sono la risorsa più preziosa di ogni paese, soprattutto in un contesto come quello attuale – ha dichiarato la Dottoressa Marina Chiara Garassino, Presidente di Women for Oncology Italy – Un’adeguata fornitura di dispositivi di protezione rappresenta in questo senso proprio il primo passo. Risulta fondamentale, e lo chiediamo a gran voce, che vengano superate le disparità regionali per quanto riguarda di diagnosi di Covid-19 e che in tutto il territorio nazionale siano omogenee le modalità diagnostiche per tutto il personale sanitario”.