Esiste un legame strettissimo tra le malattie che stanno terrorizzando il Pianeta e le dimensioni epocali della perdita di natura. Virus, batteri e altri microrganismi nella maggior parte dei casi sono innocui, anzi, spesso essenziali per gli ecosistemi e l’uomo. Tuttavia, alcuni di essi, come il coronavirus SARS-COV-2 all’origine del Covid-19, possono provocare impatti estremamente negativi sulla salute umana, sui sistemi sociali ed economici, come quelli a cui stiamo assistendo nell’attuale emergenza sanitaria che ha raggiunto la portata di una vera e propria pandemia, avendo già colpito oltre 129 paesi in ogni continente con oltre 5.000 vittime. Quella provocata dal Coronavirus fa parte delle cosiddette “malattie emergenti” – come ad esempio Ebola, AIDS, SARS, influenza aviaria o suina – che non sono catastrofi del tutto casuali ma mostrano numerosi elementi comuni. Spesso infatti le zoonosi, ovvero le malattie trasmesse dagli animali all’uomo (esattamente come il Covid-19), sono conseguenza di nostri comportamenti errati tra cui il commercio illegale o non controllato di specie selvatiche e, più in generale, l’impatto dell’uomo sugli ecosistemi naturali.
Partendo dall’emergenza coronavirus, che sta mettendo in ginocchio un mondo sempre più globalizzato, un nuovo report del WWF Italia, dal titolo “Pandemie, l’effetto boomerang della distruzione degli ecosistemi – Tutelare la salute umana conservando la biodiversità”, prova a mettere in evidenza proprio i collegamenti nascosti che esistono fra le azioni dell’uomo e alcune malattie che hanno un fortissimo impatto non solo sulla salute delle persone, ma anche sull’economia e sui rapporti sociali.
Dagli animali all’uomo. Alla base dell’origine del nuovo coronavirus c’è il fenomeno dello “spillover”, titolo di un libro di successo del giornalista scientifico USA David Quammen (2012) che racconta proprio come alla base di epidemie come l’ebola ci sia la distruzione degli ecosistemi, in particolare quelli forestali, i più complessi e ricchi di biodiversità. Spillover significa “salto interspecifico”, il momento in cui un patogeno passa da una specie ospite a un’altra, in questo caso da animale a uomo. Fra i più probabili serbatoi del virus SARS-CoV-2 ci sono alcune specie di chirotteri (pipistrelli), ma rimane aperta anche l’ipotesi che a facilitarne la diffusione come ‘ospiti intermedi’ siano stati i pangolini. Questi piccoli mammiferi insettivori, le cui 8 specie esistenti sono tutte a rischio estinzione secondo la IUCN, l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, sono gli animali più contrabbandati al mondo per via delle infondate credenze sui poteri curativi delle loro scaglie, ma anche per la loro carne.
Ad oggi non sappiamo ancora quale sia stata l’origine del SARS-CoV2, ma è molto probabile che dietro la sua diffusione si nasconda il commercio legale e illegale di animali selvatici vivi o di loro parti. Il commercio di animali selvatici è infatti un comprovato veicolo di vecchie e nuove zoonosi, che ogni anno causano circa un miliardo di casi di malattia e milioni di morti. Il 75% delle malattie umane fino ad oggi conosciute, infatti, deriva da animali, così come il 60% delle malattie emergenti viene trasmesso da animali selvatici.
Gli ecosistemi naturali hanno un ruolo cruciale nel sostenere e alimentare la vita, compresa quella della nostra specie, ma svolgono anche un ruolo fondamentale nel regolare la trasmissione e la diffusione di malattie infettive come le zoonosi. La distruzione di habitat e di biodiversità provocata dall’uomo rompe gli equilibri ecologici in grado di contrastare i microrganismi responsabili di alcune malattie e crea condizioni favorevoli alla loro diffusione. In aggiunta la realizzazione di habitat artificiali o di ambienti poveri di natura e con un’alta densità umana possono ulteriormente facilitare la diffusione di patogeni. Le periferie degradate e senza verde di tante metropoli tropicali, ad esempio, sono la culla perfetta per malattie pericolose e per la trasmissione di zoonosi, mentre la diffusione in paesi tropicali di sistemi d’irrigazione, canalizzazioni e dighe permette la riproduzione di vettori come alcune specie di zanzare.
Foreste, il nostro antivirus. I cambiamenti di uso del suolo e la distruzione di habitat naturali come le foreste sono responsabili dell’insorgenza di almeno la metà delle zoonosi emergenti. La distruzione delle foreste può quindi esporre l’uomo a nuove forme di contatto con microbi e con specie selvatiche che li ospitano. Nelle foreste incontaminate dell’Africa occidentale, ad esempio, vivono alcuni pipistrelli portatori del virus Ebola. Il cambiamento di uso del territorio come le strade di accesso alla foresta, l’espansione di territori di caccia e la raccolta di carne di animali selvatici (bushmeat), lo sviluppo di villaggi e altri insediamenti in territori prima selvaggi, hanno portato la popolazione umana a un contatto più stretto con nuovi virus, favorendo l’insorgenza di nuove epidemie. Lo stesso è accaduto con patologie come la febbre gialla (che viene trasmessa, attraverso le zanzare, da scimmie infette), la leishmaniosi o l’HIV, che si è adattato all’uomo a partire dalla variante presente nelle scimmie delle foreste dell’Africa Centrale. Il consumo di bushmeat è in drammatica crescita in diverse parti del mondo – non solo in Africa – e mette terribilmente a rischio la salute umana, così come il commercio di fauna selvatica o di parti di essa (wildlife trafficking) che, oltre ad essere causa primaria di perdita di biodiversità, amplifica potenzialmente la diffusione di patogeni.