Per combattere il coronavirus, non si utilizzano solo farmaci ‘riposizionati’, cioè ufficialmente indicati per altri utilizzi, ad esempio contro l’Hiv. Ci sono altre 20 potenziali terapie specifiche per Sars-Cov-2, che colpiscono in maniera precisa i suoi punti deboli e potranno, se ne sarà dimostrata la sicurezza e l’efficacia, rappresentare le armi principali per uscire dall’emergenza Covid-19. Ad esaminare in queste ore i dossier è l’Agenzia europea del farmaco (Ema): il direttore esecutivo Guido Rasi descrive in un’intervista all’Adnkronos Salute le caratteristiche dei candidati trattamenti ad hoc contro Sars-Cov-2, soprattutto anticorpi monoclonali, immuno-modulanti e antivirali.
“Il team dell’Ema – ricorda – sta collaborando con numerose realtà private e pubbliche che stanno sviluppando in totale (fra ‘specifici’ e ‘riposizionati’) circa 40 farmaci con finalità terapeutiche. Di questi, 20 progetti riguardano il riutilizzo di farmaci già esistenti, che abbiano più o meno possibilità di essere impiegati in questa circostanza, mentre ci sono 20 progetti completamente nuovi. Ovviamente sono a un diversissimo livello di sviluppo: alcuni sono poco più di idee, altri sono più avanzati, perché ad esempio si basano su esperienze precedenti fatte con il virus Ebola, ma hanno come target specifico questo nuovo coronavirus”. “L’Ema – spiega Rasi – ha una squadra che opera una specie di ‘triage’, valuta le proposte che arrivano, parla con qualsiasi ricercatore o company che voglia sviluppare un farmaco del genere, e a seconda del tipo di progetto gli diciamo quale tipo di disegno clinico può generare più in fretta le evidenze necessarie per approvare il farmaco. C’è una classe di farmaci particolarmente promettente e sono degli anticorpi monoclonali contro il Sars-Cov-2. Semplificando, invece di usare gli anticorpi dei pazienti è possibile usare quelli ottenuti in laboratorio, ad alta specificità verso le componenti virali. E’ una sorta di via di mezzo fra un antivirale e un vaccino, e sembra essere la strada più promettente”.
“I tempi però – evidenzia ancora il direttore esecutivo dell’Ema – non è possibile prevederli, anche se gli anticorpi potrebbero arrivare anche prima di un potenziale vaccino. Gli altri progetti sono ancora indietro, quelli su farmaci immuno-modulanti indicati per le fasi più avanzate della malattia Covid-19, e quelli su antivirali che puntano a bloccare l’entrata o la replicazione virale. Le sperimentazioni cliniche sui prodotti ‘riposizionati’ all’attenzione dell’Ema riguardano invece: remdesivir (medicinale sperimentale già impiegato per Ebola); lopinavir/ritonavir (al momento autorizzato come combinazione anti-Hiv); clorochina e idrossiclorochina (usate per il trattamento della malaria e di alcune malattie autoimmuni); interferoni sistemici e in particolare interferone beta (anti-sclerosi multipla); anticorpi monoclonali con attività contro componenti del sistema immunitario (come tocilizumab)”.
L’Agenzia è inoltre in contatto con gli sviluppatori di circa 12 potenziali vaccini contro Covid-1 e per due di questi sono già stati avviati gli studi clinici di fase I, che rappresentano i primi studi necessari e sono condotti su volontari sani. L’Ema stima sia necessario almeno un anno prima che un vaccino sia approvato e disponibile in quantità sufficienti per consentirne un utilizzo diffuso. “Chiaramente – sottolinea Rasi – sono in ‘vantaggio’ di tempo i progetti, uno israeliano e uno americano, che hanno iniziato la somministrazione a pazienti sani. Ma non è detto che chi inizia prima, arrivi per primo”. Ed è anche per questo motivo che si sta puntando su farmaci già impiegati per altri usi, in ‘off label’, come si dice in termini tecnici: il loro profilo di sicurezza è già noto e si può passare direttamente allo studio sulla loro efficacia contro il coronavirus. Eppure, molti fra gli esperti rimangono scettici sulla possibilità di trovare fra questi terapie che possano veramente cambiare la storia della malattia Covid-19. Puntando su prodotti disegnati specificamente per bersagliare il Sars-Cov-2, invece, i tempi si allungano, ma si hanno più chance di trovare il trattamento veramente in grado di bloccare il virus. Tanto più che i primi studi pubblicati di recente sul ‘New England Journal of Medicine’ sulla combinazione anti-Hiv lopinavir/ritonavir non hanno dato risultati incoraggianti.
“Io – dice Rasi – sono d’accordo sul fatto che quello che ci serve sono farmaci specifici: man mano che abbiamo i dati, farmaci su cui avevamo riposto speranza si rivelano meno adeguati o adeguati solo in alcune fasi specifiche della malattia. Su questo l’Agenzia italiana del farmaco sta facendo un ottimo lavoro, ha velocizzato le procedure e punta alla qualità degli studi per cercare di avere gruppi sufficientemente estesi di pazienti e avere risposte in fretta”. Inoltre, fa notare il numero uno dell’Ema, si deve puntare più su farmaci che su vaccini “perché i tempi sono più brevi anche nella produzione: l’emergenza è ora e un vaccino potrebbe arrivare alla fine dell’epidemia, dando un contributo modesto perché tardivo”. Per i farmaci nuovi allo studio “nel bene e nel male l’efficacia sulla malattia si potrà capire potenzialmente in fretta, in 15-20 giorni. Per gli altri 20 riproposizioni di farmaci esistenti abbiamo già le prove di sicurezza e stiamo vedendo di settimana in settimana sicuramente qualche effetto, ma nessuno in tutte le fasi della malattia: si sta capendo quale usare in quale fase della patologia, che è pur con efficacia limitata un notevole progresso e se si continua forzando nella direzione di fare studi reali si accelereranno risultati solidi”, conclude.