Un ormone ‘scudo’ contro l’infiammazione intestinale e il rischio di tumore del colon-retto. A evidenziare l’importante ruolo dell’ormone Fgf19 è un gruppo di ricercatori dell’Università di Bari, coordinato da Antonio Moschetta, che ha pubblicato sulla rivista EbioMedicine (pubblicata da Lancet), i risultati di uno studio sostenuto da Fondazione Airc (Associazione italiana per la ricerca sul cancro).
Questo ormone (la sigla sta per Fibroblast Growth Factor19) “è stato identificato qualche anno fa dal nostro gruppo di ricerca in collaborazione con altri gruppi americani. Fgf19 – spiega Moschetta – viene prodotto dall’intestino in seguito all’ingestione di nutrienti specifici e segnala la fine della digestione. Inoltre, regola la produzione di bile e una serie di processi metabolici molto importanti, tra cui il metabolismo di grassi e zuccheri”.
I risultati appena pubblicati dimostrano che Fgf19, attraverso l’invio di segnali volti a ridurre la produzione epatica di acidi biliari, innesca una serie di meccanismi che concorrono a combattere gli stimoli infiammatori. Questi meccanismi includono sia l’inibizione dei processi attivati dalle cellule immunitarie sia la regolazione di un elemento chiave per la salute dell’intestino: il microbiota. Attraverso un fittissimo scambio di segnali con il fegato, l’ormone regola il mantenimento della sintesi dei sali biliari nell’intestino: alterazioni nella loro quantità e composizione sono spesso concausa di gravi patologie gastrointestinali, incluse le malattie infiammatorie croniche dell’intestino (Mici), come per esempio il morbo di Crohn. Lo studio evidenzia che in pazienti con malattia di Crohn si riscontrano livelli di Fgf19 più bassi del normale.
Questa scoperta “è un passo avanti nella conoscenza dei meccanismi regolati dall’ormone Fgf19, che potrebbe in futuro tradursi nel suo utilizzo terapeutico nei soggetti con queste patologie – prosegue Moschetta – L’eventuale utilizzo terapeutico di Fgf19 in questi pazienti potrà essere agevolato dal fatto che esso è attualmente in fase 3 nelle terapie sperimentali di gravi patologie epatiche come fibrosi e steatoepatite, e quindi il suo profilo di sicurezza e tollerabilità nei pazienti è ampiamente stabilito”.
Inoltre, evidenzia il ricercatore, “grazie a un altro studio da noi recentemente pubblicato, in cui abbiamo dimostrato la sua azione anti-tumorale in modelli di cancro del fegato, possiamo dire che la sua azione di regolazione metabolica dei sali biliari potrebbe in un futuro non molto lontano essere estesa anche al trattamento dei tumori epatici. Infine, considerando che ridurre l’infiammazione e proteggere l’intestino dall’alterazione della flora batterica è la prima cosa da fare per ridurre la suscettibilità di quest’organo al cancro, la nostra nuova scoperta sull’attività anti-infiammatoria di Fgf19 apre nuove speranze terapeutiche nel trattamento delle lesioni pre-cancerose intestinali e nella prevenzione dei tumori del colon-retto che spesso si riscontrano nei pazienti con malattie infiammatorie croniche dell’intestino”.