La pandemia da nuovo coronavirus ha avuto un ampio impatto sulla salute di tutta la popolazione, non solo delle persone che hanno contratto l’infezione. Il lockdown imposto per contrastare la diffusione dell’infezione ha generato criticità nell’assistenza sanitaria alle persone affette da malattie croniche, come il diabete mellito.
Per regolare adeguatamente i livelli glicemici, le persone con diabete devono continuamente prestare attenzione ai pasti, all’esercizio fisico, al lavoro ed allo stress psicologico. Con il lockdown, è diventato improvvisamente più difficile adattare l’autogestione della malattia diabetica a tutte queste attività. A ciò si è aggiunta l’impossibilità, per la maggior parte dei pazienti con diabete, di accedere alle strutture ambulatoriali per le visite di controllo. Questa drammatica situazione ha generato, tra gli specialisti diabetologi, la preoccupazione che il lockdown comportasse un peggioramento dei livelli glicemici, in particolare tra i pazienti affetti da diabete tipo 1, che dipendono dalle iniezioni di insulina.
Uno studio dei ricercatori dell’Università di Padova, appena pubblicato sulla rivista «Diabetes Therapy» dal titolo “Glycaemic Control Among People with Type 1 Diabetes During Lockdown for the SARS-CoV-2 Outbreak in Italy” e coordinato dal prof. Gian Paolo Fadini del Dipartimento di Medicina dell’Università e coordinatore del laboratorio di Diabetologia Sperimentale dell’Istituto Veneto di Medicina Molecolare, braccio operativo della Fondazione Biomedica per la Ricerca Avanzata di Padova, ha descritto l’andamento glicemico durante la prima settimana del lockdown completo in Italia.
Sono stati analizzati i livelli glicemici di 33 pazienti con diabete tipo 1 che utilizzavano un sensore sottocutaneo collegato alla clinica diabetologica tramite il cloud. Questo sistema permette al diabetologo di monitorare in real-time l’andamento glicemico e di fornire ai pazienti suggerimenti su come ottimizzare la terapia. La dott.ssa Benedetta Maria Bonora ed il dott. Federico Boscari, rispettivamente dottoranda e ricercatore del Dipartimento di Medicina dell’Università, hanno confrontato l’andamento glicemico dei mesi e delle settimane prima dell’epidemia con quello registrato durante la prima settimana di lockdown completo (dopo il decreto #IoRestoaCasa). È stato sorprendentemente osservato che, nonostante la limitata possibilità di effettuare esercizio fisico e lo stress psicologico, i profili glicemici dei pazienti che sono rimasti a casa è migliorato significativamente. Inoltre, tale miglioramento è avvenuto prima che i diabetologi fornissero ai pazienti consigli e indicazioni su come affrontare tale delicata situazione.
«Riteniamo – commenta il prof. Angelo Avogaro, direttore della Diabetologia – che rallentare i ritmi della vita quotidiana per un breve periodo possa sortire degli effetti favorevoli sulla gestione del diabete tipo 1. Avere più tempo da dedicare al controllo delle glicemie ed alla scelta del regime alimentare, senza le incombenze lavorative, pare aver migliorato l’andamento del diabete». «C’è un altro risultato interessante – aggiunge il prof. Gian Paolo Fadini – e riguarda i pazienti con diabete tipo 1 che hanno continuato a lavorare durante il lockdown. Si tratta per lo più di giovani operatori sanitari o lavoratori del settore agroalimentare. Nonostante l’impegno lavorativo e lo stress del periodo, il controllo glicemico in questi soggetti non è affatto peggiorato, ma è rimasto del tutto stabile e molto buono». «Molto probabilmente – afferma la dott.ssa Daniela Bruttomesso dell’Azienda Ospedale – Università di Padova, co-autrice della ricerca -questo risultato dipende dal fatto che la maggior parte dei nostri pazienti che hanno continuato a lavorare durante il lockdown utilizzavano, contemporaneamente al sensore glicemico, anche la pompa di insulina il microinfusore. Questa modalità di somministrazione dell’insulina consente maggiore precisione e grande flessibilità, permettendo ai pazienti di gestire efficacemente il diabete anche nelle situazioni più sfidanti». «Pur in un periodo cupo come quello del lockdown, questa nuova ricerca getta una luce inattesa sui benefici della gestione tecnologica del diabete tipo 1. Sensori glicemici, connessione via cloud e pompe di insulina, unitamente all’educazione adeguata all’autogestione della terapia – conclude il prof. Angelo Avogaro – sono la chiave per garantire ai pazienti il miglior controllo glicemico. La tecnologia di oggi è l’anticamera del pancreas artificiale, il futuro della terapia del diabete tipo 1, in cui la dott.ssa Bruttomesso ed io abbiamo sempre creduto e cui abbiamo contribuito con importanti risultati scientifici».