“Partiamo sempre da un elemento: i casi positivi che compaiono oggi nei dati sono risalenti a contagi di qualche settimana fa. Il problema è capire cosa succede ora. Per consolidare questi risultati bisognerebbe essere molti cauti. Io sono molto preoccupato per due motivi. C’è un effetto di mobilità della popolazione che un minimo di rischio lo comporta. Fino ad oggi abbiamo vissuto in una campana di vetro, la trasmissione del virus era solo intra familiare o in strutture come le Rsa. E poi mi spaventa l’effetto euforia“: lo ha dichiarato, in un’intervista a Il Messaggero Gianni Rezza, direttore del dipartimento Malattie infettive dell’Istituto Superiore di Sanità, riferendosi alla Fase 2.
“Qual è la percezione della gente? È disposta a mantenere comportamenti sicuri, dal distanziamento al lavaggio frequente delle mani fino ad indossare le mascherine? Se invece le persone pensano “vabbè, abbiamo scampato il pericolo” allora è un problema“. “Il pericolo non è scampato, il virus e sempre in agguato. Bisogna essere prudenti e graduali nella ripresa. E poi c’è quello che deve fare la sanità pubblica“.
In riferimento agli spostamenti da Nord a Sud Rezza avverte: “Mi preoccupano. Spero non sia un esodo biblico. I governatori del Sud hanno chiesto un isolamento domiciliare per chi rientra. Spero prevalga buon senso, responsabilità e desiderio di non mettere a rischio un proprio familiare. Occhio all’uso dei mezzi pubblici: chi può, prosegua con il telelavoro, è assolutamente produttivo“. “Non posso essere ottimista fino a quando il virus è in giro e non c’è un vaccino“.
“Consideriamola una sperimentazione. Va intesa così la fase 2. La riapertura graduale era improrogabile. Ci prendiamo dei rischi. Ora vediamo se funziona. Si è cercato di regolamentare tutti gli ambiti della ripresa delle attività ma il fatto che si creino maggiori occasioni di contatto fra le persone è un elemento che favorisce la trasmissione del virus. Pensiamo ai trasporti dove per quanto si usino tutte le cautele possibili si creano inevitabilmente delle interazioni tra uomini“, spiega Rezza intervistato dal Corriere della Sera.
Su un eventuale ripresa dei contagi l’esperto spiega che “l’aumento dei casi è immediatamente rilevabile: crescono gli accessi al pronto soccorso, i ricoveri, i morti nelle residenze per anziani. A quel punto bisogna essere non pronti, di più. Il lavoro di intercettare il pericolo spetta a medici di famiglia e servizi di prevenzione sul territorio“.
“Tornare a un secondo lockdown nazionale sarebbe disastroso da tutti i punti di vista“. Occorrerà quindi “Fare chiusure frammentate, creare tante zone rosse anche di minima ampiezza. Blindare subito le aree regionali colpite da focolai in modo da soffocarli sul nascere. Nella fase 1 hanno funzionato. I blocchi a termine sono efficaci e più digeribili dalla popolazione“.