La Svezia è diventata un modello nella lotta al coronavirus nonostante nei mesi scorsi sia stata spesso oggetto di critiche per la risposta all’emergenza. Ma i numeri parlano chiaro: attualmente ci sono 3.679 vittime a fronte di 30.143 casi, ossia 365 vittime per ogni milione di abitanti. La sola Lombardia, con lo stesso numero di abitanti della Svezia, registra 1.529 morti per ogni milione di abitanti, una cifra enormemente superiore nonostante in Lombardia ci sia stato un lockdown molto rigido di oltre due mesi. Eppure la Svezia non ha mai adottato un lockdown per affrontare l’epidemia, quasi nessuna limitazione è stata imposta dall’alto, ma solo raccomandazioni alla prudenza. E così, bar, ristoranti, cinema e teatri sono rimasti aperti, shopping, passeggiate per le vie del centro, persino gite in barca sono sempre state consentite. I pochi divieti imposti hanno riguardato gli assembramenti oltre le 50 persone, le visite nelle case di cura, la chiusura di scuole superiori e universita’. In sostanza, il Paese scandinavo ha preferito convivere con il coronavirus, in un clima di consenso sociale largamente maggioritario.
“La strategia svedese vuole scongiurare il picco di ritorno che si puo’ registrare dopo il lockdown, una volta riaperta la societa‘”, spiega all’ANSA Patrick Bryant, esperto di modelli statistici applicati alla biologia alla Stockholm University, illustrando le ragioni della linea della “mitigazione” che mira ad abbassare la curva dei contagi attraverso una circolazione controllata del virus, senza blindare la societa’. Anche se l’immunita’ di gregge non viene ufficialmente menzionata, l’obiettivo sembra proprio essere quello di erigere uno scudo immunitario di massa. Una strategia pericolosa, eccepisce d’altro canto il matematico Wounter van der Wijngaart: “Stiamo lasciando che i contagi proseguano, con minimi accorgimenti. E questo costera’ moltissime morti in piu’, se ci fossimo fermati anche solo due mesi, per poi ripartire, saremmo stati sicuramente piu’ efficaci”. “Probabilmente avremmo dovuto sospendere prima i grandi eventi sportivi – il pensiero del bio-informatico Arne Elofsson -. Ma l’errore piu’ grave resta comunque non aver protetto gli anziani nelle case di riposo”.
Ma il tradizionale rapporto di fiducia che esiste tra le autorita’ svedesi e la cittadinanza resiste. “Penso che stiamo facendo la cosa giusta, gia’ cosi’ in molti si sentono soli e abbandonati. Non possiamo sapere cosa ci riservi il futuro, per me va bene cosi'”, dice Else, commessa di un negozio. Sulla stessa lunghezza d’onda, Glenn, fotografo: “Tutti hanno capito che dobbiamo stare assieme, non possiamo chiudere completamente le citta’. Dobbiamo cercare di mantenere quanta piu’ normalita’ possibile“. “Ancor piu’ importante della nostra fiducia verso il governo, e’ quella che il governo ripone in noi come cittadini capaci di prendere decisioni sensate – afferma lo storico Lars Tragardh -. Non seguiamo ciecamente il governo, e’ semmai il governo a credere in una relazione di mutua responsabilita’“.
L’artefice della strategia svedese è Anders Tegnell, a capo dell’Agenzia di Sanita’, divenuto sempre più popolare nel corso del tempo, tra critiche ed elogi. L’epidemiologo rivendica la decisione di optare per un “approccio morbido” malgrado l’elevata mortalita’ nelle case di riposo. “Non penso che avessimo bisogno del lockdown in Svezia – ha detto Tegnell all’ANSA -. Non avrebbe fatto poi cosi’ tanta differenza, specie nei contagi negli ospizi. Imporre il lockdown non avrebbe cambiato la situazione, esistono molte altre misure, piu’ morbide, che possono essere utilizzate. Finora ritengo, pur tenendo conto dei morti in eccesso, che abbia funzionato – dice il professore –. La gente ha seguito le nostre indicazioni e abbiamo fatto si’ che il servizio sanitario curasse tutti quelli che ne avevano bisogno, malati non solo di Covid-19 ma di qualsiasi patologia. E’ stato difficile, ma ci sono sempre stati letti a disposizione”.
“Ogni decesso e’ un immenso dispiacere, e’ una cosa terribile vedere un numero cosi’ alto di persone morire, ma ci sono molte altri aspetti da tenere in considerazione per valutare un singolo approccio. Come per esempio i danni che si determinano a livello sociale nel lungo periodo”. Per rafforzare il suo pensiero, Tegnell cita l’esempio delle scuole elementari, tenute sempre aperte: “I bambini hanno bisogno di andare a scuola almeno quanto i loro genitori di lavorare. Ritengo che essere riusciti a garantire la scolarizzazione in questo periodo cosi’ difficile sia stato un successo che potrebbe essere preso d’esempio da altre nazioni”, insiste. L’esperto, inoltre, gode di un forte consenso tra la popolazione: il 70% è d’accordo con lui, un 20% vorrebbe addirittura una linea piu’ soft, con solo un 5% di dissidenti.