Quando siamo ormai alla soglia dei 5 milioni di casi confermati nel mondo, il nuovo coronavirus ha ucciso oltre 323.000 persone. E mentre questo tragico bilancio continua a salire, l’impatto del virus potrebbe essere sottostimato, secondo uno studio dell’Università di Glasgow. I ricercatori hanno analizzato come sarebbe andata per un campione di persone che hanno perso la vita a causa del coronavirus se non avessero contratto l’infezione e i risultati sono molto duri.
Lo studio, in attesa della valutazione peer review, ha utilizzato un rapporto sul bilancio di vittime in Italia pubblicato il 26 marzo e le informazioni sulla mortalità dai dati dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e del Secure Anonymised Record Linkage, un database sanitario del Regno Unito. In media, il gruppo di diverse centinaia di pazienti in Italia, contagiati dal nuovo coronavirus, è morto più di 10 anni prima rispetto a quanto atteso, anche tenendo conto di altre comuni patologie preesistenti, secondo le stime dei ricercatori scozzesi. Lo studio si è concentrato su una misura statistica chiamata “anni di vita persi”, ossia il tempo che una persona avrebbe vissuto se non fosse deceduta a causa di un evento sanitario inatteso come il COVID-19. Nelle loro stime, i ricercatori hanno incluso età, sesso e condizioni di salute preesistenti.
Gli esperti hanno concluso che “sembra esserci un peso considerevole in termini di anni di vita persi”: lo studio stima che la media di anni di vita persi è di 13 per gli uomini e 11 per le donne. “Tra le persone morte a causa del COVID-19, il numero di anni di vita persi a persona sembra simile a quello di malattie come la coronaropatia”, afferma il Dott. David McAllister, tra gli autori dello studio. “Anche se la copertura mediatica si è concentrata molto sul fatto che il COVID-19 colpisca persone con “patologie preesistenti”, l’aggiustamento per numero e tipo di patologie preesistenti a lungo termine riduce solo in maniera modesta il numero di anni di vita persi a causa del COVID-19 rispetto alle stime basate solo su età e sesso”, si legge nello studio. La ricerca conferma, dunque, che il COVID-19 non sta uccidendo persone che erano già vicine alla morte: piuttosto sta spezzando le vite dei pazienti oltre 10 anni prima del loro tempo.
I ricercatori fanno notare che i loro risultati non includono altri fattori, come il fumo, e non sono stati aggiustati a seconda della gravità delle malattie preesistenti, sebbene ritengano che questo non alteri in maniera significativa i loro risultati.
“Questo studio è interessante perché mira a fornire una migliore comprensione dell’impatto della mortalità del COVID-19. Chiaramente, c’è stata una scuola di pensiero secondo cui le persone che sono morte per il COVID-19 erano già gravemente malate con pochi anni di vita rimasti. Questa valutazione quantitativa chiarisce questa convinzione errata, dimostrando che gli anni di vita persi sono più di un decennio”, ha affermato il Dott. John Brownstein, chief innovation officer del Boston Children’s Hospital.