“Dopo le riaperture ci attendevamo qualche focolaio, che è arrivato. Ma la capacità di contenimento ad oggi è stata assai buona: l’estensione dei focolai non è mai stata critica, e questo ci dovrebbe rassicurare per il futuro”. Lo ha detto Massimo Galli, direttore di Malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano, intervenuto a Sky Tg24. Secondo l’infettivologo, però, “dobbiamo tenere le antenne sollevate. Se il virus riuscirà a circolare” sottotraccia per un certo periodo di tempo in una zona particolare, “potremmo essere nei guai e dover chiudere alcune aree, come sta facendo la Spagna”. Insomma, “la sorveglianza attiva è fondamentale. Per adesso però siamo ben lontani” da una situazione del genere, ha detto Galli, raccomandando di “evitare comunque di essere in tanti nello stesso luogo. Mi rendo conto che d’estate non è facile”. Anche perché “siamo un Paese a cui la socialità piace tantissimo, è un fatto culturale”. Ma “questo va ancora evitato; in particolare è sconsigliato agli anziani come me di mettersi in certe situazioni”.
“Abbiamo ancora più virus in casa di quello che arriva da fuori. Siamo in un mondo globalizzato, l’epidemia è arrivata in Italia dalla Germania, e si trattava di un ceppo cinese. Certo, dobbiamo stare attenti a ciò che arriva da Messico, Stati Uniti, Est europeo, Bangladesh” e dalle altre aree più duramente colpite da Covid-19, “ma abbiamo ancora più virus in casa di quello che arriva da fuori“, sottolinea. Chiudere le frontiere per Galli non è una soluzione: “Tutte le chiusure sono un danno”, dice.
“Adesso – ribadisce – la chiave è la sorveglianza“. L’eliminazione del virus “per decreto mi piacerebbe – aggiunge – ma non è possibile”, sottolineando poi che la frammentazione delle decisioni in sanità è un danno. E che, nonostante le affermazioni di colleghi con i quali non vuole entrare in polemica, “la malattia non è cambiata: è cambiato il tipo di ospite. Adesso in molti casi l’infezione si registra tra i quarantenni, in parte più esposti” al virus anche per motivi di lavoro, mentre forse i “più anziani sono più attenti”.
“Siamo in un Paese in cui la sanità è regionalizzata. In una situazione di difficolta’ sarei preoccupato se non si mantenesse la possibilità di gestione centralizzata di alcune cose chiave. Se questo vuol dire emergenza, chiamiamola cosi‘”, ha concluso l’infettivologo.