Coronavirus in mare: cosa sappiamo? E’ presente nelle acque marine?

Presentato uno studio congiunto OGS e Università degli Studi di Trieste sul mare del FVG, il primo che dimostra l'assenza di segnali virali associati al COVID 19 nelle acque marine italiane
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Se lo sono chiesto i ricercatori dell’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale – OGS e del Dipartimento di Scienze della vita dell’Università di Trieste, che a maggio hanno avviato un progetto per valutare la qualità del mare del Friuli Venezia Giulia.

“I ricercatori hanno iniziato un lavoro di campionamento in 5 punti diversi lungo la costa del FVG” spiega Cosimo Soli-doro, direttore della sezione di oceanografia di OGS. “Nonostante diversi ricercatori abbiano asserito l’assenza del virus SARS-CoV-2 nelle acque di mare, abbiamo voluto provarlo sperimentalmente” precisa.

I siti di prelievo (Lignano, offshore nella laguna di Grado-Marano, Barcola, Brojenca-Filtri di Aurisina, Centro del Golfo di Trieste) sono stati selezionati in base all’esposizione alle fonti di contaminazione delle acque di scarico dei centri abi-tati

I risultati sono confortanti perché in nessuno dei campioni analizzati è stata riscontata la presenza dell’RNA del virus SARS-CoV-2.

“Anche se non si può affermare con assoluta certezza l’assenza di Coronavirus nelle acque di mare dell’intero Adriati-co – spiega ancora Solidoro – la non presenza di tracce di SARS-CoV-2 rivelata dal nostro studio è già una buona notizia per la popolazione, per i turisti e per gli operatori del settore”. Lo Studio è il primo che dimostra l’assenza di segnali virali associati al COVID 19 nelle acque marine italiane.

L’idea alla base dello studio è che l’eventuale presenza del SARS-CoV-2 nell’ambiente marino sia dovuta alle acque di scarico depurate del sistema fognario. Per verificare questa ipotesi sono state utilizzate tecniche di biologia molecola-re che permettono di isolare e poi quantificare il numero di copie di RNA virale, l’acido nucleico del virus SARS-CoV-2 che porta l’informazione genetica ovvero tutti i passi che il virus deve far compiere alle cellule infettate comparabile ad un’azione di sabotaggio e dirottamento per la produzione del virus stesso e la conseguente morte della cellula in-fettata.

Dobbiamo considerare che una persona utilizza circa 250 litri di acqua al giorno che entrano nel sistema fognario e produce circa 130 grammi di feci al giorno. I soggetti malati nelle diverse fasi della patologia e i soggetti asintomatici positivi possono produrre nelle feci sino a 50 milioni di copie di RNA virale per grammo di feci. Si può ipotizzare che i virus possano poi entrare nel sistema marino attraverso le acque nere degli scarichi fognari. “Ricordiamo che in un litro di acqua di mare ci sono circa 1 miliardo di batteri e 10 miliardi di virus e che questi microorganismi non sono pa-togeni per l’uomo ma sono gli attori principali che insieme al fitoplancton mantengono funzionante l’ecosistema mari-no” precisa Cosimo Solidoro.

I ricercatori hanno analizzato i campioni marini con il sistema di RTqPCR sviluppato dall’Institut Pasteur di Parigi (Fran-cia). “Abbiamo raccolto quasi due litri di acqua di mare da ciascun punto di campionamento, li abbiamo pre-filtrati per rimuovere i microrganismi più grandi (fitoplancton, zooplancton) e i detriti, trattandoli poi con il cloroformio” spiega Mauro Celussi, ricercatore dell’OGS.
“Le attività svolte rientrano nel programma del progetto interreg Italia Croazia AdSwim che ha l’obiettivo di studiare proprio la qualità delle acque marine”

“Dai campioni è stato estratto l’RNA totale e cioè l’RNA di tutte le specie che vivono nell’acqua di mare. Sono state quindi effettuate le quantificazioni delle abbondanze batteriche e virali dei campioni mediante la tecnica della citome-tria di flusso e infine effettuata l’analisi di RTqPCR” spiega Francesca Malfatti, professore associato dell’Università di Trieste.

Va ricordato che l’eventuale risultato positivo di queste analisi non fornisce informazioni sull’infettività qualora si tro-vasse il virione.

“Nelle prossime settimane intendiamo utilizzare un secondo protocollo di identificazione per confrontare i risultati ot-tenuti attraverso le due metodiche e confermare i dati ottenuti fino ad oggi” prosegue Alberto Pallavicini, professore associato dell’Università di Trieste.

“Continueremo i campionamenti nei 5 punti scelti lungo le coste del Friuli Venezia Giulia per monitorare l’evoluzione della situazione e poter offrire una maggior garanzia ai turisti che scelgono le coste del FVG a” conclude il direttore generale di OGS Paola Del Negro.

Lo studio ha coinvolto anche la San Diego State University e la Colorado State University.

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