A detta di tutti, l’alto tasso di decessi per coronavirus in Svezia è la prova che il Paese scandinavo ha commesso un tremendo errore nella gestione dell’epidemia. La Svezia, che non ha imposto un rigido lockdown, facendo affidamento al senso di responsabilità dei cittadini, registra 556 vittime per milione di abitanti (classificandosi 7ª al mondo), rispetto alle 105 della vicina Danimarca e alle 47 della Norvegia. Negli ultimi giorni, però, le vittime causate dall’epidemia in Svezia sono calate drasticamente e ora si stanno avvicinando a zero.
Tra il 30 giugno e il 6 luglio, la Svezia ha registrato meno di 5 morti al giorno, fatta eccezione per un unico giorno nell’intervallo considerato. Il calo dei nuovi casi diagnosticati è stato persino più forte. A fine giugno, la Svezia registrava oltre 1.800 casi positivi al giorno. Oggi, poche settimane dopo, solo un sesto di questa cifra risulta positivo su base giornaliera.
Per spiegare questi numeri in calo, gli esperti hanno indicato una serie di motivi, tra cui l’arrivo dell’estate, con meno persone negli uffici e più distanza, e le misure adottate per proteggere le persone nelle case di riposo. Johan Carlson, direttore generale dell’agenzia di sanità pubblica della Svezia, ha indicato “l’effetto del mantenimento del distanziamento sociale” per il calo osservato. Le autorità svedesi dichiarano che la ragione della crescita del tasso dei casi a giugno sono i maggiori test effettuati. Jan Albert, professore di malattie infettive al Karolinska Institutet, ha indicato che, sebbene sia difficile dire quali siano i motivi precisi, “probabilmente una combinazione di stagione, parziale immunità di gregge e distanziamento sociale” ha contribuito alla riduzione dei casi.
La Svezia non ha imposto un rigido lockdown, permettendo alle persone di vivere una vita relativamente normale nonostante l’epidemia. Ha vietato gli assembramenti con oltre 50 persone, imposto limiti ai clienti nei ristoranti, esortato a seguire le regole del distanziamento sociale e vietato le visite alle case di riposo (anche se questa misura è arrivata in ritardo ed è considerata come la causa dell’elevata mortalità registrata tra gli anziani ospiti delle strutture). Con quasi tutto il mondo il lockdown, le immagini degli svedesi nei bar e nei ristoranti sembravano provenire da un’altra dimensione: nessuno indossava la mascherina e i ragazzi al di sotto dei 16 anni hanno continuato ad andare a scuola.
Chi ha criticato l’approccio soft della Svezia, dopo la prima fase dell’epidemia, ora si appiglia ad altri fattori per denigrare a tutti i costi la strategia nazionale: la bassa densità di popolazione, l’alto tasso di famiglie con un solo componente, il distanziamento sociale come parte della cultura svedese e persino il fatto che gli svedesi non parlino abbastanza da permettere la diffusione delle droplets. Ormai si confronta la Svezia solo con i suoi vicini scandinavi in cui il tasso di decessi è minore, ma non si considera che il Regno Unito ha 676 vittime ogni milione di abitanti e che il Belgio (che ha imposto il lockdown una settimana prima del Regno Unito) ha 845 morti ogni milione di abitanti ed è il peggior Paese per tasso di mortalità al mondo.
Scuole aperte in Svezia
Il dipartimento di salute pubblica svedese, inoltre, ha reso noto i dati sull’incidenza del COVID-19 sui minori. Nella fascia tra 6-15 anni, su una popolazione di 1,2 milioni, si sono registrati 370 casi, mentre nella scuola secondaria (fascia d’età tra 16-19 anni) sono 680. Confrontati con la vicina Finlandia, dove le scuole sono rimaste chiuse, il dato è sorprendente (vedi tabelle in fondo all’articolo): “l’incidenza cumulativa generale tra i bambini in età scolare in Finlandia e Svezia è simile nonostante la Finlandia abbia chiuso le scuole per la maggior parte dei bambini e la Svezia no”, si legge nello studio.
Lo studio è giunto alla conclusione che “la chiusura della scuole non ha avuto effetti misurabili sul numero di casi di COVID-19 tra i bambini. I bambini non sono un gruppo a grande rischio della malattia COVID-19 e sembrano svolgere un ruolo meno importante dal punto di vista della trasmissione, sebbene siano necessari una sorveglianza più attiva e studi speciali sulla trasmissione a scuola e in famiglia. Gli effetti negativi della chiusura delle scuole devono essere ponderati contro i possibili effetti positivi indiretti che potrebbe avere sulla mitigazione della pandemia”.