Al momento, la Sicilia fa peggio di Lombardia e Veneto sul fronte coronavirus. Nell’isola, infatti, l’indice Rt, ossia l’indice di trasmissibilità della malattia, è di 1,62 mentre la media nazionale è di 1,01. Bruno Cacopardo, direttore dell’Unità operativa Malattie infettive del Garibaldi di Catania e (ormai ex) membro del Comitato tecnico scientifico istituito dalla Regione Siciliana, spiega ad Open come si è arrivati a questa situazione.
“Si è passati da un’osservanza rigida delle regole a un clima di totale menefreghismo dove il Coronavirus viene considerato meno di una banale influenza. Mi aspettavo un azzeramento dei casi in estate, le condizioni c’erano tutte. E, invece, i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Le colpe? Diffuse. Dai tecnici, secondo cui la carica virale del virus sarebbe inferiore, alla stanchezza post lockdown dei cittadini, specialmente dei giovani, fino all’arrivo di turisti da aree geografiche a rischio”, afferma Cacopardo.
“Io, ad esempio, vengo etichettato come “esagerato” solo perché non voglio dare la mano o baciare le persone che incontro. Mi creda, c’è stato un crollo del rispetto delle misure, e questo mi preoccupa. Noi medici, per mesi, siamo stati in trincea, abbiamo subito uno stress pesantissimo e ora l’idea di tornare sul campo di battaglia per la strafottenza di qualcuno, mi irrita non poco”, dice l’esperto. Sono ormai diventate virali in rete le parole di una donna che in spiaggia a Mondello dice “Non ce n’è Covid”: “Ecco, queste parole mi fanno irritare. Il virus circola ancora, eccome. E sa perché abbiamo meno ricoverati? Semplicemente perché il Covid-19 si sta trasmettendo tra i giovani che si ammalano meno rispetto agli anziani o alle categorie più a rischio. Adesso, però, bisognerebbe chiudere quei locali, quelle strutture dove gli assembramenti sono incorreggibili, penso alle discoteche. Sulle spiagge, invece, servirebbero controlli a tappeto. Ma resto contrario a una chiusura totale”, commenta Cacopardo.
Alcuni siciliani sembrano aver dimenticato l’emergenza, ignorando le regole del distanziamento sociale, l’uso delle mascherine e del gel per le mani. “Qui sembra che tutto sia finito, che in Sicilia il problema non ci sia mai stato e che non c’è motivo di preoccuparsi. C’è un vero e proprio clima di rilassatezza, specialmente in alcune zone della Sicilia”, spiega l’esperto riferendosi a Ragusa e Catania. Palermo, invece, si è dimostrata “più attenta”.
Per quanto riguarda i focolai sull’isola, “per il 50% è colpa degli autoctoni. I giovani, invece, hanno rispettato alla perfezione le misure imposte dal governo durante il lockdown, poi dopo se ne sono fregati, complice forse la stanchezza”, dice Cacopardo che sui migranti aggiunge: “Vengono tutti sottoposti a tampone, sono tracciati negli spostamenti e non entrano a contatto con la popolazione locale. Dunque c’è un’incidenza di rischio dieci volte più bassa di quella degli autoctoni”.
Nell’ospedale in cui lavora sono 18 i ricoverati di cui 5 severi e 3 in rianimazione: “C’è un numero crescente di casi, non possiamo negarlo, ma al momento è tutto sotto controllo. Abbiamo anche un soggetto giovane con una polmonite interstiziale. Insomma guai ad abbassare la guardia”. Nei prossimi mesi – conclude – “mi aspetto una circolazione lenta e graduale del virus con pochi casi gravi e tanti asintomatici in isolamento domiciliare”. Mentre il governatore siciliano Nello Musumeci minaccia un nuovo lockdown se la situazione dovesse peggiorare, Cacopardo afferma: “Saranno i numeri che ci diranno se dobbiamo chiudere di nuovo tutto. Ho lanciato un appello 15 giorni fa, mi pare che questo appello non sia stato raccolto e quindi non escludo che ci possano essere misure ulteriormente restrittive”.
“Basta fare finta di nulla. Saremo costretti altrimenti a misure di contenimento. Occorre rispettare regole basilari”, ha concluso l’assessore regionale alla Salute Ruggero Razza.