“Le parole della crisi, le politiche dopo la pandemia” è un libro di divulgazione scientifica scritto per aiutare i lettori ad analizzare meglio la pandemia e le sue conseguenze, riflettendo su come sarà il futuro che ci aspetta. Un futuro tanto meno problematico quanto più sapremo cogliere ciò che una pandemia arrivata all’improvviso può insegnarci. Si parla delle sfide tecniche del vaccino con Peter Doherty, Premio Nobel per la medicina, il quale si augura che l’eredità di questa pandemia sia una maggiore considerazione per la scienza e l’evidenza scientifica da parte dei politici e, in generale, dei cittadini.
Sir Jeremy Farrar, già professore di Medicina tropicale presso l’Università di Oxford, è direttore del Wellcome Trust, racconta delle sfide che affronta uno scienziato clinico impegnato, dalla “stanza dei bottoni”, a contrastare le malattie infettive emergenti. Le decisioni da prendere nel breve termine sulla produzione e distribuzione di vaccino, diagnostica e cure, si inquadrano in un ragionamento più ampio sulla rivalutazione delle responsabilità dello scienziato verso la collettività nelle prossime sfide globali.
A fare luce sulle migliori modalità di riapertura è Carlo La Vecchia, professore ordinario di Statistica medica presso l’Università di Milano: la chiave per una riapertura in sicurezza, più che i dispositivi di protezione individuale – che sono invece indispensabili nei soggetti ad alto rischio come gli operatori sanitari – o l’isolamento sociale, dovrebbe essere il monitoraggio (virologico e sierologico).
Paolo Vineis, professore ordinario di Environmental Epidemiology presso l’Imperial College di Londra, fa luce su un problema oggi attualissimo: affinché? il controllo e la prevenzione delle malattie infettive siano un processo continuo che perduri ben oltre l’emergenza contingente, è necessario un approccio sistemico, non limitato ai settori della medicina e della sanità pubblica.
Ogni capitolo del libro affronta il tema da un differente punto di vista. Grandi nomi accanto a giovani idee, tutte utili a disegnare il quadro di uno dei periodi più confusi e frenetici degli ultimi 70 anni della storia del mondo. Rettori, scienziati, filosofi ma anche giornalisti insieme a studenti, dottorandi e ricercatori. Tante voci ed un solo macro-argomento: il Covid-19.
La formula di dialogo proposta dal libro è interessante: un grande personaggio accademico e un giovane studioso sono co-autori di ogni capitolo; perché se c’è una cosa che la pandemia ha aiutato a capire è che unendo le idee e confrontando i punti di vista si può arrivare più velocemente alle soluzioni.
Gli autori arrivano dalle più famose Università del mondo – Oxford, Hardvard, Yale, Princeton, ETH Zürich – ma anche da Enti di Policy e Organizzazioni internazionali – Corte Costituzionale, Parlamento Europeo, Ocse – e coprono una grande vastità di temi, dal diritto penale alla politica monetaria, dagli aspetti epidemiologici al teatro, dalla simulazione informatica alla musica, dai modelli matematici al sexworking, dal welfare al management sanitario.
Quello che emerge è un quadro semplice, chiaro, che aiuta a comprendere e mettere a sistema parole e concetti che spesso emergono, negli articoli, nei servizi televisivi e nei talk show, che arrivano in tutte le case ma non sempre con il dovuto approfondimento: recovery fund, contact tracing, numero di riproduzione di base (R0), test molecolari e test sierologici, bilanciamento di diritti costituzionali.
Il messaggio alla base del libro, fortemente sentito dai tre curatori Massimiliano Malvicini, Tommaso Portaluri, Alberto Martinengo è anche alla base del CEST – Centro per l’Eccellenza degli Studi Transdisciplinari, Associazione della quale fanno parte i giovani autori: la ricerca è un’occasione per tutti; per il pubblico innamorato della cultura, per i divulgatori che la trasmettono, per gli studenti che la incontrano nelle università, per gli studiosi che ne hanno fatto una professione.
In un periodo storico caratterizzato da caos informativo e fake news, il ruolo degli accademici diventa fondamentale, perché soltanto attraverso un’informazione responsabile e inclusiva sarà possibile dotare le istituzioni e i cittadini degli strumenti opportuni per affrontare le molteplici sfide imposte dalla convivenza con il Covid-19.