In questo vasto territorio situato nell’Africa sub-sahariana, dopo la cosiddetta “stagione della fame” – che ha generato elevati livelli di scarsità nel periodo compreso tra giugno e settembre – prende sempre più forma, con dati preoccupanti, la piaga dell’insicurezza alimentare. “Tra siccità, desertificazione, conflitti e, ora, Covid-19 temiamo non solo un collasso delle strutture sanitarie ma anche conseguenze nefaste sui già allarmanti livelli di malnutrizione”, ha dichiarato Simone Garroni, direttore generale di Azione contro la Fame. L’organizzazione, in tal senso, chiede alla comunità internazionale di non abbassare la guardia sulla regione.
In questa fascia di terra lunga oltre cinquemila chilometri, del resto, la siccità ha già messo a dura prova le sorti di popolazioni che dipendono, per lo più, dall’agricoltura e dall’allevamento. Le riserve alimentari, così, non sono mai sufficienti a soddisfare i bisogni e l’inevitabile contrazione dell’offerta genera un significativo aumento dei prezzi. La mancanza di pascoli adeguati, anch’essi colpiti dalla siccità, rende, inoltre, difficile la sopravvivenza del bestiame. Il Covid-19 ha peggiorato la crisi umanitaria e alimentare: i sistemi sanitari, d’altra parte, rischiano di essere ulteriormente “sotto scacco” (0,5 medici ogni 1.000 abitanti nella regione).
Secondo l’OCHA sono circa 24 milioni le persone (metà delle quali bambini) che, nell’anno in corso, hanno bisogno di assistenza: è il numero più alto mai registrato. Più di 4,5 milioni sono, inoltre, sfollati interni e rifugiati nel Sahel (un milione in più rispetto al 2019). L’ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari ha, infine, comunicato che più di 12 milioni di persone stanno già affrontando una grave mancanza di cibo: l’impatto della pandemia rischia di aggravare il dato. Quasi 10 milioni di bambini, infatti, rischiano la malnutrizione acuta. La chiusura delle scuole, a causa della violenza e delle misure di isolamento, colpisce, di fatto, un’intera generazione.
Emergenza clima e Covid-19, ma non solo: il caso-Burkina Faso
In Burkina Faso l’aumento delle violenze, causato anche dall’avanzata del fondamentalismo, impedisce alle comunità locali, in questo momento, di accedere, regolarmente, ai servizi essenziali di base, come la salute e l’istruzione. Il numero di persone che necessitano di assistenza umanitaria, nel Paese, intanto, cresce: dall’inizio dell’anno, è passato da 2,2 milioni a 2,9 milioni di persone, con un aumento del 32%. Tra di loro ci sono anche 3 milioni di persone con problemi legati all’insicurezza alimentare, tra cui 500.000 bambini che soffrono di forme gravi malnutrizione acuta.
Oltre un milione sono, infine, gli sfollati interni (il 60% sono bambini). Il 75% di essi non ha un riparo e ha un accesso assai limitato ai servizi sanitari: 133 strutture, ad oggi, sono chiuse e 156 operano al minimo.
“La missione sta intervenendo nelle regioni dell’Est, del Centro-Nord e del Nord del Sahel con l’obiettivo di rispondere, in modo adeguato, alle esigenze delle popolazioni più vulnerabili colpite dal conflitto – ha aggiunto Garroni -. I nostri team sono impegnati nell’ambito di programmi che forniscono un aiuto rapido, in regime di emergenza, agli sfollati interni e alle famiglie, con particolare riferimento all’acqua, ai servizi igienico-sanitari e all’igiene. Azione contro la Fame, infine, pone una particolare attenzione, come sempre, ai bambini sotto i cinque anni e alle donne in gravidanza o in allattamento che, in questa, situazione sono evidentemente più colpiti dalla deflagrazione, contemporanea, di emergenze”.
Azione contro la Fame è una organizzazione umanitaria internazionale leader nella lotta contro le cause e le conseguenze della fame e della malnutrizione. Da 40 anni, salva la vita di bambini malnutriti, assicura alle famiglie acqua potabile, cibo, cure mediche e formazione, consentendo a intere comunità di vivere libere dalla fame. Nel 2019, a livello globale, Azione contro la Fame ha curato 654 progetti. Grazie al suo network internazionale ha raggiunto, complessivamente, oltre 17 milioni di persone in quasi 50 Paesi. L’organizzazione, grazie al suo staff prevalentemente locale, lo scorso anno ha risposto, efficacemente, a ben 43 emergenze.