L’emergenza coronavirus ha costretto tantissime aziende a chiudere le sedi e far lavorare da casa i dipendenti. Durante il lockdown, ma anche dopo, in tantissimi sono stati i lavoratori in smartworking, a lavorare da casa, quasi sempre comodamente in pigiama (o vestiti bene solo nella parte superiore per eventuali videochiamate con colleghi e capi), sul letto o sul divano, tra una pizza ben lievitata e un dolce prelibato.
Se c’è una parte di lavoratori che sperava e non vedeva l’ora di tornare in ufficio, per uscire di casa, vedere i colleghi, vestirsi in maniera presentabile e non con pigiami o tute, c’è chi invece si ritiene fortunato di lavorare a casa anche per un ‘presunto’ risparmio, ma non tutti si sono fatti bene i conti in tasca durante la quarantena.
Lavorare da casa sicuramente consente ai dipendenti di non dover usare i mezzi pubblici o la macchina, quindi di risparmiare su biglietti, abbonamenti e benzina, ma dall’altro lato aumentano le bollette di acqua, riscaldamento o aria condizionata ed elettricità. Per non parlare delle tecnologie che servono per poter lavorare da casa: computer e stampanti, che non tutti hanno a casa ed una buona connessione ad internet. Da uno studio fatto nei Pasi Bassi è emerso che uno smart worker consuma 2 euro in più al giorno.
Diverso è invece per i titolari: l’azienda non può controllare i dipendenti e perdere anche sulle loro prestazioni, ma gudagna dal punto di vista economico. L’azienda non paga infatti spese d’affitto, manutenzione, elettricità e tanto altro: quindi i titolari guadagnano.
In qualche modo le aziende quindi dovrebbero rimborsare i dipendenti in smart-working come accadrà in Olanda, dove i dipendenti a fine anno riceveranno un bonus di 363 euro, Germania, Spagna e Regno Unito.