Black Friday, l’appello del WWF: non dare per ‘scontata’ la natura e l’impegno di chi lavora ogni giorno per proteggerla

Tre storie di biologi e ricercatori che insieme al WWF salvano tigri, orsi polari ed elefanti africani, dedicando la loro vita alla conservazione
MeteoWeb

Le offerte in occasione del Black Friday stanno piovendo su di noi a gran velocità e la corsa allo sconto migliore sul prodotto che desideriamo si gioca in questi ultimi giorni. C’è qualcosa, però, che non possiamo mai dare per scontato: il valore della biodiversità, che ci permette di vivere, e di chi lavora ogni giorno sul campo per proteggerla. Tigri, orsi polari ed elefanti africani sono tre drammatici esempi di specie a rischio, per le quali è indispensabile al più presto raggiungere un “saldo” positivo e il WWF, in occasione del Black Friday, ha deciso di raccontare le storie di Samundra, Sabita, Andy e Helen, biologi e ricercatori che lavorano ogni giorno insieme al WWF proprio per regalare un futuro a queste specie iconiche, un lavoro e un impegno che non possiamo dare per scontato.

Ognuno di noi può fare la sua parte per aiutare il WWF a portare avanti questi essenziali progetti a tutela delle specie. Quest’anno, aderendo alla campagna “A Natale mettici il cuore”, possiamo decidere di non limitarci a mettere un like o un cuore alle foto di animali sui social, ma di regalarci o regalare l’adozione simbolica di una tigre, un orso polare, un elefante o di un’altra specie che amiamo e dare il nostro contributo per proteggere la natura insieme agli eroi sul campo. Accanto al WWF Italia in questa campagna, disegnata e realizzata in collaborazione con Accenture Interactive, la digital agency dell’omonima società di consulenza, quest’anno c’è RDS 100% Grandi Successi, che come radio partner della campagna ha realizzato un progetto di comunicazione promozionale su tutti suoi canali e su RDS Next, l’innovativa social radio per la generazione contemporanea dei millennials e la generazione Z.

SAMUNDRA, SABITA E LA PRIMA TIGRE IN ALTA QUOTA MAI DOCUMENTATA IN NEPAL

Il monitoraggio e la ricerca sono fondamentali per la salvaguardia della tigre. Così come lo sono le due protagoniste di queste attività, Samundra Subba (ricercatrice) e Sabita Malla (biologa della fauna selvatica), che lavorano al WWF Nepal. Dopo le numerose segnalazioni di avvistamento di una tigre nelle aree montane del Nepal, le due ricercatrici hanno deciso di avviare i loro studi in un’area del tutto nuova, nonostante le molte incertezze sull’esito finale. Il rischio che le segnalazioni fossero false non era trascurabile, visto che era accaduto spesso in passato. Samundra e Sabita, insieme al collega Karun Dewan, hanno concentrato gli sforzi nelle aree forestali d’alta quota. Le squadre di ricerca, adeguatamente formate, hanno allestito siti di fototrappolaggio, in base ai potenziali percorsi utilizzabili dalle tigri nelle regioni di collina e montagna, come creste e sentieri. Già dopo alcune settimane dall’installazione dell’ultima fototrappola, uno dei rilevatori ha annunciato la straordinaria notizia: una tigre era stata fotografata in una delle stazioni. Le speranze si sono trasformate in gioia quando le due biologhe hanno potuto confermare la notizia con certezza. Era ufficiale: una singola tigre era stata fotografata a un’altitudine di circa 2500 metri sopra il livello del mare, confermando la presenza di questa preziosa specie nella catena del Mahabharata. Un vero record per questo predatore, mai rilevato prima ad altitudini così elevate in Nepal. La prima tigre fotografata di Dadeldhura è storica per molte ragioni. Prove tangibili di tigri a questa altezza forniscono infatti un solido sostegno per le attività di conservazione della specie nella catena del Mahabharata, e la scoperta espande anche la distribuzione nota in Nepal, ampliando il potenziale habitat della tigre nel Paese, in un momento in cui il mondo intero sta combattendo per conservare ed espandere l’areale attuale.

ANDY, IL BIOLOGO CHE SALVA GLI ORSI POLARI

Non ci sono giorni normali per uno ricercatore di orsi polari. Per oltre 35 anni, Andy Derocher ha studiato gli orsi polari mentre allevano i cuccioli, cacciano e si riproducono, vivendo tantissime esperienze. Con il supporto del WWF, il suo team monitora gli orsi polari della Baia di Hudson occidentale, in Canada. Quello che non tutti sanno è che un biologo che studia gli orsi polari può lavorare solo nelle giornate di sole, perché le nuvole e la luce piatta rendono impossibile il tracciamento di questi animali. Gli orsi polari si muovono su vaste aree, ed è questo il motivo per cui gli elicotteri sono un altro strumento essenziale per la ricerca. Per portare a termine il lavoro, però, serve occorre uno stomaco di ferro: manipolare gli escrementi di un orso polare può nauseare anche il ricercatore più resistente. Ma tra le attività più difficili, emozionanti e utili per la conservazione di questa specie, c’è la cattura. Il protocollo utilizzato da Andy e dal suo team è sempre lo stesso: individuato un orso dall’elicottero, si anestetizza con un dardo e si attivano i rilieviprima che l’orso si svegli. La cattura di un orso polare deve essere sicura per l’animale, ma anche per l’equipaggio di ricerca. Fortunatamente, gli orsi polari sono incredibilmente robusti, ma la chiave del successo è svolgere le attività nel modo più umano e rapido possibile, di solito nel giro di un’ora. Oltre a raccogliere campioni biologici e importanti dati sull’animale (sangue, peli, latte, porzioni di grasso e un dente per la determinazione dell’età), si procede con l’applicazione delle marche auricolari e del radiocollare satellitare, oltre ad un piccolo tatuaggio sul labbro superiore, per l’identificazione a lungo termine dell’individuo. Si tratta di dati fondamentali per conservare la specie, che offrono una visione approfondita della loro vita, sui ritmi di attività, l’utilizzo dell’habitat e le migrazioni stagionali verso la costa, senza creare eccessivo disturbo all’animale. I campioni biologici analizzati in laboratorio forniscono invece approfondimenti su genetica, inquinamento, dieta, età, livelli di stress, malattie e altro ancora. La ricerca sugli orsi polari è uno strano mix tra momenti di euforia e scoperta insieme a lunghi periodi di attesa e fatica. Capire come vivono gli orsi polari in un ambiente così duro è stata una delle prime motivazioni per le ricerche di Andy Derocher. Quello che svolge con il suo team aiuta a comprendere meglio il comportamento e l’ecologia degli orsi polari. Obiettivo finale è approfondire questi aspetti e mitigare le minacce che devono affrontare questi animali a causa del cambiamento climatico e dell’inquinamento. La ricerca e il monitoraggio sono quindi fondamentali per garantire un futuro a questa incredibile specie.

HELEN, UNA VITA NELLA SAVANA INSIEME AGLI ELEFANTI

Helen Mylne è una ricercatrice che si occupa di elefanti per l’African Lion and Environmental Trust (ALERT) a Victoria Falls, in Zimbabwe. Helen non studia solo elefanti, ma anche giraffe, leoni e di altre diverse specie di fauna africana. Suo argomento di ricerca è anche il conflitto uomo-fauna selvatica, diffuso nelle comunità rurali che circondano il Parco dello Zambesi.

La sua storia di ricercatrice nasce quando si è imbattuta in ALERT cercando possibilità di tirocini per la sua laurea in Scienze Naturali a Bath. Dopo essere riuscita a ottenere il finanziamento di cui aveva bisogno, è andata in Africa nell’Agosto 2016 per restare lì un anno. Ma l’amore per quella terra e per il suo lavoro erano diventati così forti, che quando il ricercatore di ruolo si è dimesso e ALERT le ha chiesto se volesse assumere la posizione, non ha mai avuto nessun dubbio. Quello era il suo posto. Helen passa le sue giornate a organizzare i volontari e gli stagisti che vengono ad aiutare nelle attività, inserendo e analizzando i dati, scrivendo proposte di ricerca e, soprattutto, guidando il fuoristrada per il Parco nazionale dello Zambesi, alla ricerca di elefanti. Degli elefanti studia comportamento, ritmi di attività, movimenti territoriali, ma anche il conflitto che si può creare fra loro e gli uomini e l’impatto della popolazione di elefanti sulla vegetazione del Parco nazionale dello Zambesi. I dati che raccoglie vengono utilizzati per mitigare il conflitto tra la popolazione e la fauna selvatica, da un lato proteggendo le persone più vulnerabili dai rischi di vivere in aree ricche di fauna, e dall’altro salvando gli elefanti dalle persecuzioni e lavorando per migliorare l’accettazione sociale di questa specie da parte delle comunità locali.

Tra le attività più eccitanti, c’è sicuramente quella di guidare per il Parco: non si sa mai cosa si vedrà ogni volta che si esce. Nessun altro lavoro può essere paragonato alla ricerca sul campo, e Helen è convinta che non esista posto migliore dell’Africa per farlo. Ciò che rende Helen entusiasta è sapere che il suo lavoro sta davvero facendo la differenza nella vita delle persone e di alcuni tra gli animali più maestosi, iconici e importanti del pianeta. Gli elefanti sono diventati la sua vita. Ogni volta che si allontana dal Parco, conta solo le ore che le mancano per riabbracciare la savana e i suoi elefanti.

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