Siamo nel bel mezzo della seconda ondati di contagi da coronavirus in Italia, con la prospettiva di un Natale anomalo, senza riunioni in famiglia e grandi festeggiamenti, per evitare quella che già in molti definiscono “terza ondata” di contagi a gennaio. Ma una terza ondata dopo le feste di Natale e Capodanno “non l’ha necessariamente ordinata il dottore“, quindi va fatto il possibile per scongiurarla. “Se non prendiamo tutte le necessarie precauzioni, e non continuiamo a mantenerle, non posso che accodarmi alle posizioni già espresse da alcuni miei illustri colleghi e dire che la ripresa della malattia a gennaio è un fatto quasi scontato“, ha detto Massimo Galli, primario infettivologo dell’ospedale Sacco di Milano e docente all’università Statale cittadina.
Galli rilancia un richiamo alla responsabilità – individuale e istituzionale – anche in vista del passaggio della Lombardia da zona arancione a zona gialla. “Non ci possiamo permettere di non essere prudenti – spiega all’Adnkronos Salute – E’ una banalità, ma tutti i segnali che tirano verso il ‘liberi tutti’ diventano pericolosi“. Quella che viviamo “è oggettivamente una situazione che non consente in linea generale, e in particolare in alcune zone della Lombardia in cui il virus è comunque ancora molto presente, di applicare degli avventurismi, di avere atteggiamenti” che poi possono comportare effetti “estremamente negativi“. Galli ammette che tutto sembra un po’ “scaricato sui cittadini“, ma innegabilmente “la responsabilità individuale è un fatto importante – ammonisce – Non possiamo andare nei luoghi dove più facilmente le persone si concentrano e rimanere stupiti dicendo ‘ma guarda quanta gente c’è!’. La domanda è ‘e tu? Anche tu sei lì insieme a loro'”.
Certo che “è una situazione non facile – osserva l’infettivologo – in cui avere posizioni fortemente restrittive è evidentemente triste e limitante, però è così“. Oltre all’invito a mantenere comportamenti di estrema prudenza Galli rivolge anche un messaggio ai decisori politici: “Le chiusure sono una resistenza passiva”, fa notare, mentre “io credo che si debba cambiare registro in un’altra direzione”, quella della “resistenza attiva” ossia di “interventi di altro genere e più incisivi. Per esempio un utilizzo estensivo dei test, o misure che riescano veramente a migliorare e organizzare i trasporti, solo per citare un settore. Il punto – conclude lo specialista – è che per svariati mesi la convivenza con questa infezione è ancora obbligata”.