In provincia di Reggio Calabria, su quella che viene definita la costa dei gelsomini, si stagliano sullo sfondo verde bruno delle terre aspromontane le candide rocce delle colline cretacee di Bianco. Fu così che i marinai greci dovettero vederla dalla costa e sceglierla per piantare i tralci della vite che ancora oggi viene coltivata con lo stesso procedimento degli antichi colonizzatori e che da vita al profumo unico del vino Greco di Bianco.
La storia e il mito del vino degli antichi greci
La terra di Calabria vanta tra le sue peculiarità storiche anche un vino antichissimo, riconosciuto dalla denominazione di origine controllata.
Si tratta del Greco di Bianco, un vino unico nelle sue caratteristiche organolettiche e nel metodo di produzione.
Questo vino è considerato uno tra i più antichi vini d’Italia, perché è ottenuto da un vitigno che si ritiene sia stato portato sulla sponda ionica calabrese proprio dai greci che colonizzarono la costa nel VIII secolo a.C., dando vita alla civiltà conosciuta da tutti come Magna Grecia.
La leggenda vuole che un tralcio di vite sia stato portato sulle navi dei coloni presso Capo Zefiro (oggi Capo Bruzzano), i quali individuarono nei litorali dell’Enotria (che vuol dire proprio terra del vino) i luoghi vocati alla coltivazione della vite.
i tratta di una zona geografica delimitata, comprendente l’intero territorio amministrativo del comune di Bianco e parte del comune di Casignana, entrambi nella provincia di Reggio Calabria.
Secondo il mito questo vino possedeva speciali poteri rigeneranti sia sul fisico che sulla mente.
Si narra che durante la battaglia sul fiume Sagra, i Locresi, nonostante fossero in minoranza, vinsero sui Crotoniati proprio grazie al Greco, che diede loro coraggio e forza superiori a quelle dei nemici.
In epoca romana, invece, questo passito era particolarmente apprezzato dagli imperatori e gradito alle donne per le sue proprietà afrodisiache; un vero nettare come attestano le citazioni di Virgilio e di Plinio il Vecchio e un’iscrizione muraria rinvenuta a Pompei.
Il Greco di Bianco oggi
Il Greco di Bianco viene realizzato ancora con lo stesso procedimento indicato dal poeta Esiodo nel suo “Le opere e i giorni”, infatti, le uve accuratamente selezionate, vengono fatte appassire su graticci di canne al sole e, dopo la pressatura, il mosto viene messo in botticelle di castagno, quindi viene travasato per due volte e nel mese di maggio trasferito, infine, nei serbatoi d’acciaio.
Il vino ha caratteristiche precise, in particolare, un colore giallo paglierino con riflessi ambrati, un profumo etereo di zagara, un sapore dolce morbido pieno ed armonico, è di stoffa elegante e sostenuta. Il sapore è tendente al liquoroso ed è morbido e caldo, con un caratteristico retrogusto persistente.
Questo vino, grazie anche all’intervento umano, non manca certo di personalità, è, al contrario, ricco di carattere e necessita di palati esperti che sappiano domarne l’esuberanza.
Per questo vino nel corso della lunga storia, sono stati messi in opera dall’uomo processi innovativi per migliorarne e affinarne la produzione. Un tempo veniva prodotto nei palmenti di pietra, ancora oggi visibili nelle alture intorno a Bianco, semi nascosti dalla vegetazione spontanea, e che sono oggetto di un singolare percorso di interesse archeologico e ambientale.
Tuttavia, pur tramandando, attraverso le varie generazioni le tecniche tradizionali di coltivazione, si è giunti oggi a una modernizzazione encomiabile delle tecniche produttive a partire dai vigneti e passando per le pratiche di essiccazione dell’uva e quelle di vinificazione.
Sebbene il Greco di Bianco abbia rischiato l’estinzione durante gli anni 70 a causa della resa minima e delle grandi cure di cui necessita, oggi in seguito a una serie di iniziative atte a valorizzarne la produzione, la rivalutazione ha consentito a questa viticoltura, di divenire un cardine dell’economia territoriale, sia per la qualità e la caratura del simbolo agroalimentare che porta, sia per il ruolo d’unione con l’ambiente rurale.
La città di Bianco
La cittadina di Bianco prende il suo nome dal colore delle colline cretacee che dal mare apparivano ai marinai come una macchia bianca sulla costa e sulle quali fu costruita. Si trova nella provincia di Reggio Calabria, sulla costa jonica della Locride la stessa che viene denominata costa dei gelsomini.
Nell’antichità fu un centro bruzio che venne abbandonato durante le incursioni saracene del X secolo per dar vita a un abitato più sicuro nelle zone più interne dei primi contrafforti dell’Aspromonte.
Fece parte dello Stato di Gerace fino al 1457, in seguito fu costituito in baronia e donato ai Marullo conti di Condojanni, più tardi venne acquistato dai Carafa di Roccella Jonica che lo detennero fino al 1808.
Sebbene sia stato danneggiato dal terremoto del 1783, Bianco fu ricostruita con il nome di Bianco Nuovo, ma dell’antico abitato meritano una visita i ruderi di Bianco Vecchia dove si possono apprezzare i resti delle mura cittadine, le strade e i portali antichi.
Interessante il Duomo di tutti i Santi costruito negli anni Trenta, che ospita al suo interno un antichissimo dipinto di Maria SS di Pugliano e la cinquecentesca statua di alabastro di Santa Caterina d’Alessandria d’Egitto posta su un piedistallo ottagonale con scene bibliche e un olio su tela del 1656-57.
Situato alla marina, invece, si trova l’edificio del Santuario Maria SS di Pugliano; questo fu realizzato tra il 1500 e il 1600 nella stessa zona in cui sin dal 1200 esisteva il monastero italo-greco di Pugliano, e una parte del santuario è stata ricostruita proprio sui resti della vecchia abbazia.
La leggenda vuole che il Santuario custodisse un’icona cinquecentesca raffigurante l’immagine della Vergine, portata dai monaci bizantini dalla Siria, per salvarla dalle persecuzioni iconoclaste.
Nel borgo di Crocefisso si trovano i ruderi del convento di Santa Maria della Vittoria eretto nel 1622 e, in contrada Pardesca, quelli della chiesa di Santa Maria del Soccorso dal bel campanile ottagonale.