di Benedetto De Vivo – Ritorno, con questo mio contributo, sulla presunta presenza di inquinamento diffuso sul territorio campano, particolarmente nella famigerata “Terra dei Fuochi” (vedi mio intervento del 3 ottobre 2020)
I risultati ottenuti con il Monitoraggio dei suoli e dell’aria di intera Regione Campania (riportati in 4 corposi volumi: De Vivo et al, 2021a, http://www.aracneeditrice.it/index.php/pubblicazione.html?item=9788825540369; De Vivo et al., 2021b. http://www.aracneeditrice.it/index.php/pubblicazione.html?item=9788825541076; De Vivo et al., 2021c e 2021d: in stampa), per un totale di 1.650 pag, con illustrazione di circa 1.000 mappe di distribuzione sia dei metalli che dei composti organici potenzialmente tossici, portano evidenze scientifiche incontrovertibili che minimizzano drasticamente quanto mediaticamente raccontato sulla famigerata Terra dei Fuochi. I risultati riportati nei 4 volumi sono il frutto di studi pregressi di mio ex gruppo di ricerca quando ancora in servizio presso Università di Napoli Federico II e di finanziamenti ad hoc ricevuti fra (2015-2017) da IZSM da parte di Regione Campania.
In sintesi cosa dicono i dati scientifici del monitoraggio di intera regione Campania (riportati esaustivamente in De Vivo et al. 2021a,b,c,d) e in pubblicazioni scientifiche internazionali? Confermano quello che mi era ben noto sulla base dei risultati parziali che, con mio gruppo di ricerca, ho raccolto negli ultimi 20 anni, tutti riportati in circa 50 pubblicazioni scientifiche, fra 2013 e 2019. Vale a dire che nella Terra dei Fuochi la contaminazione di MPT (metalli potenzialmente tossici), quali, ad esempio, Be, Sn, Tl, As e altri, è sostanzialmente naturale, essendo legata al vulcanismo alcalino campano e che la distribuzione dei valori “anomali” di MPT e di POP(Persistent Organic Pollutants: IPA, PCB, OCP), sia antropogenici che geogenici, è essenzialmente distribuita nell’Area Urbana e Metropolitana di Napoli (quindi tutta l’area vesuviana e flegrea), nell’area del bacino del fiume Sarno e nella propaggine meridionale dell’avellinese (bassa Irpinia) confinante con settore orientale del territorio vulcanico napoletano e del bacino del fiume Sarno, ma senza che ci sia alcuna dimostrazione scientifica di rapporto causa-effetto fra presenza di potenziali inquinanti tossici e patologie. Queste evidenze sono confermate, in una recente conferenza (3 Giugno 2021) del Direttore di Istituto Zooprofilattico del Mezzogiorno (Portici), Dott. Antonio Limone, e del Presidente della Regione Campania (Vincenzo De Luca) che sulla base delle mappature del Progetto SPES (Studio di Esposizione nella Popolazione Suscettibile) eseguito su analisi di sangue di 4.200 cittadini residenti in aree critiche di 175 Comuni delle province di Napoli, Avellino, Caserta e Salerno, riportano che le criticità si riscontrano nel sangue di cittadini delle valli dell’Irno (a ridosso di Salerno) e Sabato (Avellino), oltre a altre criticità in alcuni Comuni del confine Napoli Nord/Caserta. Sia De Luca che Limone, non parlano quindi di Terra dei Fuochi. Il Presidente De Luca dichiara: finalmente siamo riusciti a fare una grande operazione verità, riscontrando che vi sono picchi in alcune aree interessate da una particolare attività industriale. Ma non vi è un inquinamento generalizzato come si voleva far credere. Questa nostra operazione servirà a potenziare l’attività di prevenzione e di intervento mirato in quei territori che saranno ancora monitorati”; il Direttore di IZSM dichiara: si tratta di un lavoro straordinario durato quattro anni che ha svelato tante verità finora non conosciute sulla realtà ambientale campana. I commenti delle 2 Autorità, riferiti al Progetto SPES e ai risultati di monitoraggio riportati in Vol De Vivo et al., 2021a,b,c,d, penso intendessero, giustamente, ridimensionare tutto quanto negli anni si è narrato sulla Terra dei Fuochi. Ma, nonostante gli espliciti commenti di De Luca e Limone, e gli incontrovertibili risultati del monitoraggio (caso unico in Italia) dimostrino che la Terra dei Fuochi sia solo parzialmente interessata da alcune criticità, il giornalista del Corriere del Mezzogiorno, scrive: “Non c’è solo la Terra dei Fuochi, il territorio a cavallo delle province di Napoli e Caserta devastato dai roghi tossici, ma anche le valli dell’Irno e del Sabato nella mappa dell’inquinamento campano…”. Alla poca attenta informazione ha contribuito in modo rilevante un recente rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità che ha trasformato la probabilità, come scritto correttamente nelle pagine introduttive del rapporto, in dimostrazione di rapporto causa/effetto fra presenza di rifiuti e insorgenza di patologie cancerogene. Insomma sembra proprio che a dispetto dei dati scientifici che fanno della Campania la Regione meglio monitorata in Italia dal punto di vista ambientale, l’informazione insiste nel volere giocoforza mantenere vivo il brand Terra dei Fuochi…. A chi giova tutto ciò? Possibile non si riesca proprio a capire che bisogna procedere, in problemi così delicati, nel rispetto del metodo scientifico, sperimentale e trasparente. Tutto quanto sopra detto, rimando i cittadini a consultare i dati contenuti nelle 1650 pagine e oltre 1.000 mappe illustrative di De Vivo et al. (2021a,b,c,d), specificando che i dati scientifici non sono il dogma; essi possono essere confutati. Ma ciò deve avvenire sulla base di altri dati scientifici che dimostrino il contrario (vedi principio della falsificabilità, secondo la quale un’ipotesi o una teoria scientifica può essere smentita solo sulla base dei fatti dell’esperienza – K.R. Popper, Filosofo della Scienza,1902-1994).
Nel contesto specifico del territorio regionale, occorre precisare che la dizione Terra dei Fuochi deriva dalla sciagurata pratica di incendiare in vari punti del territorio rifiuti indifferenziati, che sono ben distinti rispetto allo smaltimento illegale in sversatoi abusivi. Questi ultimi realizzati, da interessi malavitosi, in ex cave dismesse di materiale tufaceo, sparse nel territorio per lo più casertano, oppure in grosse “buche” scavate ad hoc per l’interramento di rifiuti potenzialmente tossici, per lo più di origine industriale di provenienza varia. Le due pratiche abusive, potenzialmente possono provocare tipi diversi di “inquinamento”: 1. Quello dei fuochi in superficie di rifiuti indifferenziati, può provocare inquinamento dell’aria con ricadute nei suoli; 2. Quello da rifiuti potenzialmente tossici interrati, di diversa natura e origine, può provocare un inquinamento nei suoli e nella falda acquifera. Il potenziale inquinamento derivante dai “fuochi”, dovrebbe avere un carattere diffuso su intero territorio, soprattutto nell’aria, con ricadute nei suoli; quello derivante dai rifiuti interrati, dovrebbe avere un impatto circoscritto ai siti dove sono ubicati gli interramenti illegali, e sul lungo termine sulla falda. I rifiuti industriali interrati negli sversatoi illegali, sono contenuti generalmente in contenitori metallici; il rilascio di elementi e composti potenzialmente inquinanti nei suoli e nella falda può verificarsi solo dopo un lungo lasso di tempo. Invocare la sussistenza di incremento di casi di patologie cancerogene, solo dopo pochi anni da interramento dei rifiuti stessi, risulta alquanto improbabile, aggiungendosi a questo, i lunghi tempi di latenza a che una patologia si manifesti (durata anche di 30 anni).
A livello di contromisure a protezione dell’ambiente, per il potenziale inquinamento provocato da pratiche illegali, sarebbe necessario: a) da fuochi illegali di rifiuti indifferenziati: esercitare un controllo continuo del territorio, con opportune moderne tecnologie, per colpire duramente coloro che si rendono colpevoli di questa sconsiderata pratica; b) da rifiuti potenzialmente tossici interrati, una volta individuati i siti (con la collaborazione anche dei cittadini residenti nei vari Comuni della Terra dei Fuochi) dove gli interramenti sono stati effettuati, procedere alla rimozione dei rifiuti potenzialmente tossici per smaltirli in discariche speciali esistenti e a operazioni di messa in sicurezza dei siti (suoli e falda) che ospitavano i rifiuti illegalmente interrati, e non a costosissime operazioni di bonifica, che sarebbero accolti come la salvifica manna divina, anche dagli stessi interessi che sono stati dietro tutte le pratiche illegali nello smaltimento dei rifiuti potenzialmente tossici. Laddove sono presenti criticità circoscritte nel senso che interessano aree di piccola estensione, bisogna fare indagini a livello sito-specifico, con una maglia di campionamento molto più fitta rispetto a quella utilizzata a livello regionale e locale. Le campionature sito-specifiche bisogna effettuarle nei siti e nelle aree immediatamente circostanti, dove gli interramenti illegali sono avvenuti o sospettati di essere avvenuti. Siti che, spesso sono ben noti a tutti nei ristretti territori comunali all’interno della Terra dei Fuochi.
Con il campionamento regionale e locale da noi effettuato e produzione di relativa mappatura, si riscontrano prevalentemente patterns di distribuzione di elementi e composti potenzialmente tossici (MPT e POP), diffusi sul territorio, prevalentemente in area urbana e metropolitana di Napoli, nel bacino del fiume Sarno, e nella bassa Irpinia, le cui sorgenti hanno in genere o una origine geogenica (esempio, i patterns diffusi di concentrazioni anomale di Be-Tl-Sn, legati al vulcanismo alcalino campano), oppure antropogenica, legata a processi che si verificano a scala non sito-specifica (es., i patterns di distribuzione di Pb derivante da uso di benzine super, o di Cu derivante dalle pratiche di viticoltura). Viceversa nella Terra dei Fuochi, come in tutto il territorio campano, si riscontrano solo piccole aree critiche circoscritte, di limitata estensione e entità.
A valle dei dati scientifici ottenuti con il Programma Campania Trasparente, bisognerebbe, ora, effettuare indagini sito-specifiche, caso per caso, con il prelievo di ulteriori campioni di suoli, acque, colture agricole e matrici biologiche, sulle quali effettuare anche indagini di bioaccessibilità (per stabilire quale sia la percentuale di “contaminanti” che passa dalle matrici ambientali ingerite alle cellule del corpo umano) e indagini isotopiche su metalli e metalloidi (per meglio definire la sorgente dei contaminanti potenzialmente tossici: geogenica o antropogenica). Si otterrà, così, un quadro chiaro che renderà ancora di più la Campania la regione-modello meglio caratterizzata scientificamente dal punto di vista ambientale in Italia, e non solo. Ben precisando, che questo non costituisce comunque una dimostrazione di rapporto causa-effetto con patologie cliniche.
Nello stesso tempo non bisogna inseguire le mode, secondo le quali tutto sarebbe risolvibile con impiego della “fitoremediation”. Quest’ultima pratica, va specificato che può essere utilizzata, per alcuni specifici elementi potenzialmente tossici, ma non esiste alcuna pianta che sia in grado di rimuovere contemporaneamente tutti gli elementi e composti potenzialmente tossici (siano essi inorganici che organici) da un sito, dalla superficie fino alla falda acquifera. La capacità di alcune piante di estrarre dai terreni elementi metallici è ben nota da decenni, nel settore dell’esplorazione mineraria. Queste piante erano e sono note come traccianti (pathfinders) di specifici metalli (es, il California poppi, é un pathfinder di anomala presenza del rame nel sottosuolo; altre lo sono per lo Zn, U, Pb etc). Che poi le piante siano capaci di eliminare tutti i composti organici (IPA, PCB) fino alla falda è una pura sciocchezza scientifico-mediatica. Le piante per potere “assorbire” elementi metallici e/o composti organici (IPA e PCB), li devono trovare solubilizzati nella matrice liquida (acqua di falda). Ma, in particolare, i composti organici sono sostanze recalcitranti, vale a dire che sono pochissimo solubili, rimanendo essenzialmente “bloccati” nella matrice solida (suoli). Quindi non possono certamente essere eliminati fino alla falda nei suoli dove sono presenti in concentrazioni superiori alle soglie fissate da DLgs 152/2006.
Nella Terra dei Fuochi, interessata da alcuni superamenti per EPT e POP in siti spot, né più né meno come si verifica in altre aree della Regione Campania (e dell’Italia), la situazione rendeva giustificabile il sequestro dei suoli agricoli, con conseguente distruzione del comparto agricolo della zona “incriminata” e di intera Campania? Certamente la situazione andava affrontata con maggiore rigore scientifico. Ma nonostante le evidenze scientifiche si è proceduto con gli assurdi sequestri di terreni agricoli per “contaminazioni” per Be e altri elementi associati. Partendo da un presupposto di “buona fede” da parte di chi metteva in atto queste ingiustificate azioni, non si può non evidenziare come esse abbiano contribuito ad arrecare un danno enorme a tutto il comparto agricolo della Campania Felix.
E rende ancora giustificabile, che con un’operazione esclusivamente di propaganda, basata su ignoranza e “emozioni”, svincolate dalle evidenze scientifiche, si continui ad etichettare qualsiasi tipo di “inquinamento ambientale” con la dizione Terra dei Fuochi? Si è proceduto e, purtroppo si continua procedere con nessuna giustificazione scientifica. Tutto questo non significa che bisogna minimizzare oppure sottacere in merito alle pratiche illegali gestite dal crimine organizzato sul territorio, con smaltimento di rifiuti urbani e industriali (provenienti anche dal nord industrializzato Italiano) in sversatoi illegali sotto gli occhi dei cittadini.
Riguardo, sempre la tematica ambientale, rispetto alla quale sono stati recentemente emanati Decreti da parte del Ministero Ambiente, commento criticamente, quanto deciso in merito all’introduzione di soglie per l’uso agricolo dei suoli con il DM 46/2019. Il Decreto, fissa per alcuni EPT, le soglie per l’uso agricolo del suolo, a un livello, spesso intermedio fra quelle per uso residenziale e uso commerciale/industriale dei suoli, ma non si spiega, quale sia stata la ratio scientifica che abbia portato alla determinazione delle nuove soglie. Sembra che comunque non sia stata fatta una valutazione su robuste basi scientifiche, in funzione della biodisponibilità, vale a dire della componente che si trasferisce dalla matrice solida (suoli), alla componente liquida (acquifero) e anche della bioaccessibilità (il quantitativo di EPT contenuti nei suoli e/o prodotti agricoli che vengono assimilati dall’organismo umano grazie ai processi di masticazione e digestione dovuta all’acido e agli altri enzimi presenti nel succo gastrico).
Nelle attività del Programma Campania Trasparente, 1.193 campioni, selezionati dal totale dei 7.300 suoli superficiali (top soils), sono stati analizzati (previa solubilizzazione dei campioni di suoli con attacco debole di Nitrato di Ammonio, simile a quello delle radici dei vegetali), per la determinazione della biodisponibilità. Il dato scientifico più eclatante – ma ben noto al mio gruppo di ricerca e alla comunità scientifica internazionale – è che la componente biodisponibile degli EPT che si trasferisce dalla matrice suolo alla matrice acqua, e quindi da questa, potenzialmente, alle colture agricole, è assolutamente esigua (mediamente intorno allo 0,1% del totale contenuto nei suoli; solo per alcuni elementi si arriva allo 0,5%, e solo per un elemento si supera 1%, rispetto alle concentrazioni totali che si riscontrano nei campioni analizzati previa solubilizzazione dei campioni con un attacco forte di Aqua Regia). Questo si traduce nel fatto che le colture agricole siano essenzialmente sane e quindi NON tossiche per la salute umana. Ma se proprio si vuole proteggere la salute dei cittadini, come è giusto e corretto che sia, perché allora non si fissano le soglie per tutti i contaminanti potenzialmente tossici (inorganici e organici) dei vari prodotti agricoli edibili? Su questo fronte esiste una assoluta carenza legislativa.
L’acquisizione di conoscenze scientifiche di carattere geochimico, medico e nutrizionale è indispensabile per lo studio oggettivo che possa consentire di potere arrivare, possibilmente, alla definizione di causa-effetto fra ritrovamento di contaminanti in matrici ambientali e patologie specifiche. Anche se è purtroppo diventata una moda, attribuire, qualsiasi patologia si manifesti a contaminazione ambientale, senza produrre alcuna dimostrazione dell’esistenza della contaminazione invocata.
La conoscenza della composizione chimica del territorio nazionale, la valutazione delle eventuali variazioni dovute a potenziale inquinamento e la divulgazione di questi dati, sfruttando le moderne tecniche di rappresentazione grafica, costituiscono componenti indispensabili per il controllo delle risorse territoriali, per lo sviluppo delle attività industriali e antropiche in generale, che tengano conto delle conseguenze gravi che queste ultime possono determinare per l’ambiente e per l’uomo.
A cura di Benedetto De Vivo, Professore Straordinario presso l’Università Telematica Pegaso, Napoli; Adjunct Professor: presso Virginia Tech, Department of Geosciences, Blacksburg 24061, VA, USA; Nanjing University, Nanjing, China; Hubei Polytechnic University, Huangshi, China. Già Prof. Ordinario di Geochimica Ambientale presso l’Università di Napoli Federico II.
2019 Gold Medal Award dell’Association of Applied Geochemistry; 2020 International Research Award as Innovative Researcher in Applied Geochemistry (by RULA AWARDS & IJRULA); In Lista di University Manchester, UK, tra i Top Italian Scientists nella Disciplina Natural & Environmental Sciences, 2021 (http://www.topitalianscientists.org/top_italian_scientists.aspx).