Sulla decisione di somministrare in Italia una terza dose di richiamo di vaccino anti Covid a tutta o parte della popolazione “è ora essenziale rispondere ad alcuni quesiti di tipo scientifico: 1) quanto dura l’immunità conferita dai vaccini; 2) quale ruolo giocano le varianti nel ridurre l’efficacia e la durata della protezione; 3) se sarà possibile raggiungere la cosiddetta immunità di gregge o di comunità“. Lo scrive in un intervento sul Corriere della Sera il direttore generale della Prevenzione sanitaria del Ministero della Salute, Giovanni Rezza. Circa il primo quesito, spiega, “sembra però che, anche se gli anticorpi neutralizzanti tendono a scendere nel corso del tempo, le risposte cellulari e la memoria dell’incontro con l’antigene virale persistano più a lungo di quanto si pensasse“; a causa delle varianti, invece, “in un certo numero di casi, il virus può continuareacircolare tra le persone vaccinate, pur non causando i danni gravi a cui ci aveva abituato in precedenza“; infine, “considerato che è probabile che il virus continuerà a circolare, dobbiamo vaccinare il più possibile senza pensare al raggiungimento di un obiettivo ambizioso come quello dell’immunità di gregge, ma piuttosto per favorire un ritorno alla normalità, proteggendo la popolazione dalle conseguenze peggiori della malattia ed evitando la congestione delle strutture sanitarie“. Per Rezza, quindi, “sulla terza dose, per ora, conviene astenersi dal solito dibattito fra pro e contro, iniziando a programmare gli eventuali richiami, da effettuare in maniera graduale, sulla base delle necessità e delle evidenze scientifiche“.
Sulle varianti, quella Beta (sudafricana) “sembra essere la più resistente ai vaccini, ma per fortuna la sua circolazione da noi è estremamente limitata“. Rispetto ala Delta (indiana), “i vaccini conservano un’elevata efficacia nel proteggerci dalle forme gravi di malattia, ma non sempre sono in grado di evitare l’infezione“.