Dalla sua introduzione, il Green Pass, ossia il certificato sanitario che permette a chi lo possiede di avere accesso ad una serie di attività che prevedono assembramenti e che in questi lunghi mesi di pandemia sono rimaste chiuse, ha suscitato molte polemiche. Il Green Pass viene rilasciato a chi è guarito dal Covid, a chi ha ricevuto il vaccino e a chi ha eseguito un tampone con esito negativo (in questo caso, il certificato vale per 48 ore). In particolare, i dubbi maggiori esistono proprio sul rilascio del Green Pass sulla base dello stato vaccinale di una persona, dal momento che è ben noto che anche i vaccinati possono contagiarsi e contagiare.
Anche Mariano Bizzarri, uno dei più importanti ricercatori italiani in oncologia e professore alla Sapienza di Roma, è contrario al Green Pass. Per l’esperto, il certificato verde “non ha alcun fondamento scientifico. In teoria, il Green Pass dovrebbe essere un documento che attesta la non infettività della persona, ottenuta tramite vaccino o certificata dall’esecuzione di un tampone. Però il tampone ci dà informazioni limitate. Inoltre, oggi sappiamo che anche il vaccinato può tornare a infettarsi ed essere fonte di infezione. Dunque a che serve il Green Pass?”, si chiede Bizzarri in un’intervista a La Verità. “A discriminare chi non si vaccina. Per altro è una discriminazione poco sensata. Faccio un esempio: se faccio un test sierologico per il tifo, quel test mi dirà inequivocabilmente se io l’ho contratto oppure no. In questo caso, dunque, è possibile fare una discriminazione fra chi ha avuto il tifo e chi no, basandosi su un dato di realtà. Ma il Green Pass funziona diversamente. Si limita ad attestare che sono stato vaccinato o che 48 ore fa ho fatto un tampone negativo. Ma non attesta che io non abbia contratto la variante Delta, ad esempio. Dunque il Green Pass attesta il nulla. Forse un poco più di certezza sulla non contagiosità c’è per chi ha avuto la malattia ed è guarito, perché ha sviluppato l’immunità naturale che è molto più forte di quella conseguita con il vaccino”.
Bizzarri è scettico anche sulla dose di vaccino che deve ricevere anche chi ha avuto il Covid. “Anche questa mi pare una cosa di dubbio fondamento. Si dice: facciamo la terza dose perché gli anticorpi sono bassi. Ma non è così che si valuta la risposta immunitaria. Non dipende soltanto dagli anticorpi, ma pure dai T-Linfociti, le cellule della memoria. In quel caso, averne una o mille poco cambia”, spiega Bizzarri. Una prova “sta nel fatto che i casi di reinfezione per i guariti sono molto rari. In ospedale abbiamo non vaccinati, gente vaccinata che si è re-infettata, ma pochissime persone che una volta guarite si sono poi ammalata di nuovo. Certo, qualche caso c’è, ma sono casi molto limitati”.
Secondo Bizzarri, potremmo sostituire il Green Pass con un sistema basato sui tamponi. Lo scienziato ha partecipato all’elaborazione di un sistema che potrebbe consentirci di fare a meno del certificato verde, con una riduzione dei costi. “La Asl Marche Nord, supportata dall’assessore alla Sanità Saltamartini, ha deciso con lungimiranza di puntare sui tamponi salivari, grazie ad uno strumento d’avanguardia messo a punto dall’azienda Perkin-Elmer, che consente di effettuare i test ad 1 euro”. Si tratta “di un’analisi molecolare effettuata con la tecnica della Rt-Pcr (Real time-polymerase chain reaction) ma eseguita su un campione raccolto con tampone salivare: molto più semplice da fare a bambini, anziani e disabili, è privo di rischi ed è molto più attendibile, perché permette di raccogliere più materiale rispetto al tampone naso-faringeo e dunque si riduce la possibilità di avere falsi positivi o falsi negativi. L’attendibilità della tecnica è del 98%. Questo dato, recentemente, è stato confermato dalla Fda, la Food and Drug Administration americana, che ha collocato al primo posto per sensibilità e specificità il test della Perkin-Elmer”.
L’esperto poi continua a spiegare: “questo tampone alla Regione Marche costa 1 euro. Questo è il costo di esecuzione, poi c’è l’acquisto (o l’affitto) della macchina. In Italia, ce ne sono già diverse, sia presso laboratori pubblici che privati: a Pesaro e a Fano. uUn’altra al Pertini di Roma, una a Trezzano sul Naviglio in Lombardia. Insomma, c’è già una rete di laboratori pubblici convenzionati che sta utilizzando questo tipo di macchine, le quali per altro non richiedono altro personale specializzato per funzionare. Questi tamponi vengono processati nell’arco di 6-12 ore. Lo strumento analitico può essere collocato in un hub e processare circa 2.000 o 3.000 tamponi al giorno. Significa che anche le farmacie o altri centri autorizzati possono effettuare tamponi e inviarli all’hub dove vengono processati. Persino i privati potrebbero servirsi di questa tecnologia. E se il problema fosse quello di guadagnare, potrebbero semplicemente far pagare i tamponi due euro invece che uno e si rimarrebbe comunque su cifre accettabili per i cittadini. Un euro per un tampone mi pare una spesa ragionevole, no? Potremmo ampliare la rete di sicurezza, fare più controlli e avere meno margine di incertezza. Inoltre effettueremmo test meno invasivi. Trovo che sarebbe una ottima contromossa alla furia ideologica osservata in questi giorni. Intendiamoci: io non sono contro i vaccini. Penso però che bisognerebbe portare le persone a farli con consapevolezza. Si sarebbero potute fare più distinzioni, ad esempio spiegare che per gli over 60 la vaccinazione dovrebbe essere sostanzialmente obbligatoria, mentre per i bambini… Beh, in quel caso non esiste proprio: ci sono troppe incognite e rischi non attentamente valutati”.