Un nuovo studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Science Advances (https://www.science.org/doi/10.1126/sciadv.abh0191) svela come le emissioni di CO2 dai pennacchi vulcanici siano utilizzabili quali precursori di violente eruzioni esplosive. La ricerca è stata coordinata dal prof. Alessandro Aiuppa dell’Università di Palermo, in collaborazione con il Laboratorio di Geofisica Sperimentale (LGS) dell’Università di Firenze, con l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Sezioni di Napoli e Bologna), e con le Università di Pisa e Torino.
Le eruzioni vulcaniche sono fenomeni improvvisi, la cui dinamica è così rapida da sfuggire spesso al controllo preventivo della maggior parte delle reti di monitoraggio. Queste eruzioni rappresentano un serio pericolo, soprattutto su vulcani densamente abitati nelle aree circostanti o su quelli che da anni costituiscono un richiamo turistico per migliaia di visitatori. In Italia, Stromboli ed Etna rappresentano emblematici esempi di vulcanismo attivo, tipicamente di debole intensità e quindi considerato un’attrattiva, che tuttavia sono frequentemente capaci di improvvise crisi eruttive più violente. Stromboli, in particolare, è un vulcano caratterizzato da frequenti (alcuni eventi ogni ora) e deboli ma spettacolari esplosioni conosciute in tutto il mondo che ogni anno portano sull’isola turisti ed appassionati che desiderano osservare da vicino un vulcano in eruzione.
Le esplosioni violente che interrompono questa attività, definite eruzioni parossistiche, si verificano tipicamente senza preavviso, generando colonne eruttive di diversi chilometri di altezza, incendi e onde di tsunami, ricoprendo di cenere e lapilli i villaggi della costa e rappresentando un serio pericolo per turisti e ricercatori. Pur essendo in continua attività, e quindi con una colonna di magma molto vicina alla superficie, è stato dimostrato come le esplosioni più violente di Stromboli siano tuttavia legate alla risalita improvvisa di magma da grande (diversi chilometri) profondità. È quindi molto difficile “leggere” in anticipo i segnali della risalita di questo magma, e gli unici messaggeri che legano l’ambiente profondo con le osservazioni che gli studiosi fanno in superficie sono i gas magmatici, che riescono a sfuggire dal magma e a raggiungere in anticipo la superficie stessa.
Avvalendosi dell’analisi della composizione e il flusso dei gas vulcanici, analizzati a Stromboli mediante una rete multi-parametrica finanziata dal Dipartimento della Protezione Civile Nazionale (DPC), questa nuova ricerca dimostra come i due ultimi parossismi verificatisi a Stromboli nel 2019 siano stati preceduti da incrementi rilevabili nel degassamento di anidride carbonica (CO2) dal pennacchio vulcanico, fino a settimane/mesi prima degli eventi esplosivi. I risultati dimostrano come il gas vulcanico, in particolare la CO2, giochi un ruolo chiave nelle dinamiche esplosive, e che i periodi preparatori delle esplosioni siano caratterizzati da emissioni anomale di CO2, rilasciate dal magma ancora immagazzinato in profondità.
“L’analisi di una grande quantità di dati e di serie temporali particolarmente lunghe – spiega il prof. Aiuppa – ci ha permesso di identificare dei chiari aumenti dei flussi di gas e dei cambiamenti nei loro rapporti che si verificano fino a tre mesi prima degli eventi esplosivi. Tali cambiamenti sono quindi utilizzabili come possibili precursori, e ad oggi vengono quotidianamente utilizzati per la valutazione dello stato di attività del vulcano ed integrati con il sistema di sorveglianza LGS che da anni opera a Stromboli e fornisce valutazioni sulla pericolosità vulcanica per il Dipartimento della Protezione Civile. Oltre alla sfida di mantenere funzionale un sistema operativo in un ambiente così ostile, lavoriamo per rendere l’aspetto previsionale ancora più solido e adeguato anche ad eventi eruttivi di più piccola intensità”.
A Stromboli, infatti, oltre alla normale attività e ai fenomeni parossistici, esiste una variabilità di fenomeni eruttivi intermedi che rappresentano tuttavia un pericolo e che attualmente sono invisibili nella loro fase preparatoria. L’utilizzo dei gas vulcanici, proposto in questo studio, apre nuovi scenari per la loro possibile identificazione e previsione.