I mondi del sistema solare TRAPPIST-1 non sono stati “bombardati” da rocce spaziali come la Terra: lo svela la loro danza orbitale

Un nuovo studio suggerisce che il modo in cui i pianeti TRAPPIST-1 orbitano potrebbe rivelare indizi sulla loro evoluzione
MeteoWeb

TRAPPIST-1 sarebbe una stella insignificante se non fosse per l’importanza scientifica rivestita dai suoi 7 pianeti.
Gli astronomi hanno individuato per la prima volta i nuovi mondi – almeno 3 dei quali potrebbero essere abitabili – nel 2016. Ora, un nuovo studio suggerisce che il modo in cui i pianeti TRAPPIST-1 orbitano potrebbe rivelare indizi sulla loro evoluzione e sulla frequenza con cui le rocce spaziali si sono schiantate sulla loro superficie negli anni di formazione.

Situata a circa 40 anni luce di distanza dal Sole nella costellazione dell’Acquario, TRAPPIST-1 è una stella fredda e fioca chiamata nana rossa, il tipo più comune nella nostra galassia, la Via Lattea.
Intorno alla stella, 7 esopianeti delle dimensioni della Terra, indicati con semplici lettere da TRAPPIST-1 “b” a “h” in base alla loro distanza dalla stella, orbitano in un modo che gli astronomi chiamano “risonante“. Risonanza significa che sebbene ogni pianeta impieghi un periodo di tempo diverso per completare un’orbita, le coppie si incontrano regolarmente di nuovo nello stesso punto di partenza.
Ad esempio, per ogni 8 orbite completate dal pianeta TRAPPIST-1 “b”, che è il più vicino alla stella, il pianeta “c” compie 5 orbite, il pianeta d “4” e il pianeta “e” 2 orbite. Nella nuova ricerca, gli scienziati sostengono che questa danza orbitale stranamente regolare non sarebbe possibile se quei pianeti fossero stati sottoposti a troppi “bombardamenti” da rocce spaziali dopo la loro nascita nel disco protoplanetario che circondava la stella TRAPPIST-1 appena formata circa 7 miliardi di anni fa.

Confronto tra le dimensioni dei pianeti del sistema TRAPPIST-1, allineati in ordine di distanza dalla stella madre. Le superfici dei pianeti sono riportate con rappresentazioni artistiche delle loro potenziali caratteristiche superficiali, tra cui acqua, ghiaccio e atmosfera. Credit: NASA/R. Hurt/T. Pyle

Abbiamo scoperto che dopo che questi pianeti si sono formati, non sono stati bombardati da molti oggetti,” ha spiegato l’astrofisico Sean Raymond dell’Università di Bordeaux in Francia e autore principale dello studio. “È una cosa fantastica. È un’informazione interessante se pensiamo ad altri aspetti dei pianeti nel sistema“.

Il team di ricercatori statunitensi ed europei ha simulato l’evoluzione del sistema TRAPPIST-1 al computer. Gli scienziati stavano cercando di scoprire quanti oggetti potevano colpire quei pianeti prima che la loro danza orbitale sincronizzata venisse interrotta.
Non possiamo dire esattamente quanto materiale ha colpito uno di questi pianeti, ma a causa di questa speciale configurazione di risonanza, possiamo porre un limite superiore,” ha spiegato Raymond. “Possiamo dire: ‘Non può essere stato più di questo’. Abbiamo scoperto che quel limite superiore è in realtà abbastanza piccolo“.

Il modello suggerisce che i pianeti nel sistema TRAPPIST-1 devono essersi formati molto presto e molto velocemente, in circa un decimo del tempo impiegato dalla nostra Terra per formarsi, hanno affermato gli scienziati.
Quando il disco protoplanetario attorno a TRAPPIST-1 è scomparso, questi pianeti stavano già orbitando vicino alla loro stella madre. Gli scienziati ritengono che i dischi protoplanetari, pieni di gas e polvere, esistano solo per pochi milioni di anni dopo la formazione di una nuova stella. I modelli suggeriscono che è la forza gravitazionale di questo disco che spinge i pianeti nella risonanza orbitale, hanno evidenziato i ricercatori. Un impatto di un grande corpo, simile a quello che ha colpito la giovane Terra circa 4,5 miliardi di anni fa in una collisione che ha formato la Luna, avrebbe sicuramente interrotto questa danza orbitale sincronizzata.

Questa rappresentazione artistica mostra la veduta dalla superficie di uno dei pianeti del sistema di TRAPPIST-1. Credit: ESO/M. Kornmesser/spaceengine.org

Gli scienziati sperano che comprendere l’intensità del “bombardamento” delle rocce spaziali nelle prime fasi della vita di un pianeta possa aiutarli a capire la composizione chimica del pianeta. Nel caso della Terra, si ritiene che molti elementi chimici – inclusa l’acqua – siano stati introdotti dall’impatto di comete, asteroidi e meteoriti. Di per sé, si ritiene che la collisione che ha creato la Luna abbia portato la maggior parte dell’attuale carbonio e azoto del pianeta, entrambi prerequisiti essenziali per l’esistenza della vita.

Attualmente, gli scienziati sanno molto poco sulla composizione chimica dei mondi TRAPPIST-1. Conoscere la quantità di rocce spaziali che si sono schiantate contro di loro potrebbe migliorare queste stime.
Oggi abbiamo alcuni vincoli sulla composizione di questi pianeti, come quanta acqua possono avere,” ha affermato Andre Izidoro, astrofisico della Rice University di Houston e coautore del paper. “Abbiamo però margini di errore molto grandi“.

Questi pianeti, però, potrebbero essersi già formati da materia contenente più idrogeno e avere naturalmente più acqua della Terra, anche senza tutte quelle comete e rocce spaziali in arrivo.
Ad esempio, se uno di questi pianeti ha molta acqua, diciamo il 20% di frazione di massa, l’acqua deve essere stata incorporata nei pianeti presto, durante la fase gassosa,” ha detto Izidoro. “Quindi è da capire che tipo di processo potrebbe portare quest’acqua su questo pianeta“.

In questo momento, gli scienziati hanno strumenti limitati per andare molto più lontano. Nuovi osservatori come il James Webb Space Telescope (che inizierà le operazioni nel 2022 e sarà il più potente telescopio spaziale mai costruito) e il completamento nel 2024 dell’Extremely Large Telescope presso l’European Southern Observatory, potrebbero aiutare a comporre i vari pezzi del puzzle.
Per il sistema TRAPPIST-1, abbiamo questi pianeti di massa terrestre che si sono formati presto,” ha affermato Rajdeep Dasgupta, scienziato planetario della Rice University un coautore dell’articolo. “Quindi una potenziale differenza, rispetto alla formazione della Terra, è che potrebbero avere, fin dall’inizio, un po’ di atmosfera di idrogeno e non hanno mai subito un impatto gigantesco tardivo. Ciò potrebbe cambiare molto l’evoluzione in termini di interno del pianeta, degassamento, perdita volatile e altre cose che hanno implicazioni per l’abitabilità“.

La ricerca è descritta in un articolo pubblicato su Nature Astronomy.

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