In tempo di guerra il cambiamento climatico è quasi passato in secondo se non in terno piano, ma quello in atto era e resta una minaccia. Ad essere in pericolo sono anche i boschi di faggio europei: potrebbero smettere di crescere dal 20% al 50% nei prossimi 70 anni, soprattutto nelle regioni dell’Europa meridionale. A questa conclusione è giunto uno studio pubblicato sulla rivista Communications Biology, guidato dalla tedesca Università Johannes Gutenberg di Magonza e al quale hanno collaborato anche le università italiane di Torino e Pavia. Nonostante il clima risulti più favorevole nell’Europa settentrionale, in particolare in Danimarca, Norvegia e Svezia, ciò non sarà sufficiente a compensare le perdita di tempo.
I ricercatori, guidati da Edurne Martinez del Castillo, hanno studiato i cambiamenti nella crescita degli alberi a partire dal 1955, analizzando più di 780mila anelli di accrescimento presenti nei tronchi di 5.800 faggi, provenienti da 324 siti di tutta Europa. I dati ottenuti sono poi stati usati per costruire un modello previsionale relativo all’impatto del cambiamento climatico nei prossimi 70 anni. Secondo quanto rilevato, tra 1986 e 2016 la crescita delle faggete risulta rallentata in buona parte d’Europa, rispetto al periodo 1955-1985. Ma l’andamento non risulta uguale per tutte le zone: il decremento nella crescita del 20% che caratterizza le regioni meridionali è compensato da un aumento della stessa entità per quelle settentrionali. Tuttavia, secondo le previsioni fatte nello studio, entro il 2090 la sofferenza dei boschi situazioni più a sud aumenterà fino al 30-50%, soprattutto in caso di periodi prolungati di siccità: percentuali che non potranno più essere compensare dalla crescita delle faggete nord-europee, che rimarrà limitata al 25% circa.