Surtsey, l’isola di Surtur nata nel 1963, fa parte dell’arcipelago vulcanico delle Vestmannaeyjar (Figura 1), situato a pochi km dalla costa meridionale dell’Islanda, e deve il suo nome al gigante Surtur, il tenebroso dominatore del fuoco nella mitologia norrena.
Ricorre oggi, 14 novembre, l’anniversario dei primi segni visibili “ad occhio nudo” dell’eruzione iniziata ad una profondità di circa 130 m sotto il livello del mare e che tra il 1963 ed il 1967 finì col formare “the newest place on Earth“, come fu chiamata l’isola per molti anni a venire (Figura 2) .
La nuova isola emerse dal mare il 15 novembre 1963 attraverso una lunghissima sequenza di esplosioni sottomarine, accrescendosi e consolidandosi negli anni successivi grazie ad un periodo di attività effusiva cominciato nell’aprile del 1964. Le colate di lava ebbero l’effetto di “incapsulare” le piroclastiti da poco deposte, rendendo l’isola meno vulnerabile all’intensa erosione del mare, legata al burrascoso clima nord-atlantico.
Gli eventi
Le fratture eruttive che originarono Surtsey fanno parte del sistema vulcanico sottomarino di Vestmannaeyjar e si ritiene che si fossero aperte già nel primo pomeriggio del 12 novembre 1963, poiché in quelle ore fu registrato un tremore vulcanico continuo (di frequenza dominante nell’intervallo 1–2 Hz).
La prima fase eruttiva, iniziata alle 06:30 del 14 novembre – circa 40 ore dopo la registrazione del tremore – fu caratterizzata da una serie di pulsazioni esplosive, la più violenta delle quali generò una colonna di ceneri che giunse fin oltre i 9 km di altezza. Col cielo terso, la nube poteva essere vista fin dalla capitale islandese Reykjavik.
Nei successivi tre anni e mezzo, si susseguirono sette fasi eruttive in parte sottomarine ed in parte subaeree esplosive ed effusive caratterizzate da cambiamenti sia della posizione delle bocche sia dello stile eruttivo. Al termine, l’isola era cresciuta in altezza fino a circa 170 m sul livello del mare ed in estensione fino a 2.6-3 km2 (Figura 3). Si formarono anche altre due isole effimere: Syrtlingur, che emerse nel maggio del 1965, e Jólnir (Figure 3 e 4), che emerse nel dicembre 1965. Entrambe, però, sparirono, rispettivamente 5 e 10 mesi dopo la loro nascita, a causa dell’intensa erosione causata dal moto ondoso del mare. Surtsey, invece, riuscì a resistere: all’inizio del 1964 l’isola era abbastanza cresciuta e l’acqua del mare non entrava più facilmente in contatto con i condotti ed i suoi crateri, producendo la tipica attività freatomagmatica (da quell’evento in poi internazionalmente classificata come attività surtseyana).
Pertanto, l’attività vulcanica esplosiva si ridusse e passò a stromboliana con emissione di flussi di lava che progressivamente formarono due piccoli scudi di roccia che dotarono l’isola di una struttura più solida. Già nella primavera del 1964 l’accumulo di rocce piroclastiche era ricoperto e protetto da lave più dure e resistenti che limitarono l’erosione dell’isola.
Dalla fine dell’eruzione (5 giugno 1967) e soprattutto nei primi anni successivi, l’erosione ha pian piano “rosicchiato” l’isola, e nel 2006 Surtsey misurava solo 1.4 km2 mentre la sua quota massima era diventata di 155 m sul livello del mare. Nel tempo, l’isola ha anche subito un progressivo abbassamento (subsidenza) perché il materiale vulcanico non consolidato si è gradualmente compattato sotto il peso stesso del vulcano.
Come detto prima, l’eruzione di Surtsey del 1963-1967 ha consentito di identificare una specifica tipologia di eruzione vulcanica e di ottenere uno status classificativo internazionale denominato attività surtseyana. Questo risultato è stato conseguito grazie al ricchissimo bagaglio di osservazioni dirette condotte da S. Thorarinsson (e riportate nei suoi lavori scientifici). Il grande dettaglio del quadro geologico e del materiale scientifico raccolto sono diventati fondamentali per l’interpretazione dei depositi vulcanici sub-aerei con caratteristiche riconducibili alla interazione del magma con l’acqua di mare, in condizioni di bassa profondità. E questo ci ricorda quanto era avvenuto in rapporto all’eruzione di Vulcano del 1888-1890 osservata da G. Mercalli e O. Silvestri, dalle cui note poi si originò la denominazione “eruzioni vulcaniane” per tutte quelle della stessa tipologia (oppure: per tutte quelle con lo stesso stile eruttivo).
I depositi accumulatisi nel corso delle eruzioni di Surtsey dal 1963 al 1967 furono studiati per la prima volta in maniera completa tramite una perforazione di 181 metri eseguita nel 1979 dall’USGS (Servizio Geologico degli Stati Uniti) e dal Museo islandese di storia naturale, attraverso il bordo del cratere Surtur. Nel 2017, il progetto “Surtsey Underwater volcanic System for Thermophiles, Alteration processes and INnovative Concretes” (SUSTAIN), in parte sponsorizzato dall’ICDP (International Continental Scientific Drilling Programme), ha eseguito tre nuove perforazioni a Surtsey, a testimonianza di un interesse scientifico mai domo per quest’isola.
Fra gli innumerevoli studi condotti su queste carote di roccia estratte da Surtsey, va senz’altro citato quello che ha permesso di chiarire l’importante processo che riguarda le rocce vulcaniche formatesi a contatto con l’acqua di mare, quello della “palagonitizzazione”. Si tratta del processo di alterazione e trasformazione dei vetri vulcanici in un insieme di minerali idrotermali che cementano i frammenti di tephra e quindi compattano e induriscono i tufi vulcanici. Le carote di Surtsey hanno rivelato che si tratta di un processo di natura puramente post-eruttiva e fortemente dipendente dalla letteratura e che tale processo era già iniziato nel settembre del 1969.
Attualmente, a Surtsey vi sono due installazioni scientifiche fisse: una stazione meteo e una webcam.
Un laboratorio incontaminato
Surtsey è stata ed è tuttora un laboratorio naturale straordinariamente ben documentato sia per lo studio dei processi magmatici e vulcanici delle zone di dorsale medio-oceanica, sia per la colonizzazione biologica successiva alla formazione di “nuova terra”. Quasi immediatamente dopo la sua formazione, infatti, gli scienziati hanno visto Surtsey per quello che era: non un mucchio di roccia desolata disperso in mezzo al mare, ma una rara opportunità per osservare il modo in cui la vita prende piede su una terra vergine e sterile. Già il primo esploratore di Surtsey, il famoso studioso di glaciologia, geomorfologia, vulcanologia Sigurdur Thorarinsson, si domandò: “Quando, come, da dove e in quale ordine la vita invade un’isola del genere?”.
L’idea fu da subito quella di consentire ai processi naturali di evolversi senza l’interferenza umana, e quindi sono pochissime le persone che possono sbarcare sull’isola (con permessi speciali per la ricerca scientifica): nonostante il parziale rimodellamento degli anni successivi all’eruzione, Surtsey si è trasformata in quella piccola area-laboratorio in mezzo al mare che è tuttora.
Dal punto di vista della flora, i primi batteri, muffe e funghi si stabilirono sull’isola in pochissimo tempo. Le prime piante cosiddette vascolari (cioè non alghe o muffe, ma dotate di vasi per condurre acqua) furono avvistate già nel 1965, mentre i primi muschi nel 1968 e i primi licheni nel 1970.
I primi gabbiani toccarono la nascente isola solo due settimane dopo l’inizio dell’eruzione: il primo avvistamento fu del 1 dicembre 1963. Durante i tre anni e mezzo dell’eruzione anche gli uccelli migratori, in rotta da o per le zone artiche, cominciarono a “prendersi una pausa” sostando a Surtsey. I gabbiani reali ed altre specie di uccelli tentarono di nidificare a Surtsey già nel 1966, ma, probabilmente a causa del perdurare dell’attività eruttiva, non vi riuscirono fino al 1970, quando furono documentate le prime riproduzioni di gabbiani e fulmari. Nel 2004 furono registrati nidi di 13 specie di uccelli, tra cui le caratteristiche “pulcinelle di mare”, mentre 89 specie in tutto frequentavano l’isola.
Surtsey ai giorni nostri
Surtsey non è solo scienza e scienziati. Come molti altri vulcani o eventi islandesi, l’isola è stata ispirazione per una notevole quantità di libri di poesia e letteratura ed un numero illimitato di video e filmati. Impossibile citarli tutti ma è facilmente riscontrabile online che l’ispirazione arriva sino ai giorni nostri: “Surtsey” (2022) della norvegese M. Karlsvik è un piccolo libro di prosa che cela una narrazione lirica, concentrata in una notte in cui tutto diventa possibile: dai cambiamenti del mondo naturale e degli esseri umani, si transita tanto verso la deriva dei continenti quanto verso una potente trepidazione emotiva.
A differenza di tante isole vulcaniche effimere che il moto ondoso ha eroso, facendole scomparire nuovamente sotto la superficie del mare da cui erano emerse poco prima a seguito di un’eruzione, come ad esempio Syrtlingur e Jólnir o la famosissima Isola Ferdinandea apparsa nel mar di Sicilia tra il 1830 ed il 1831 e scomparsa pochi mesi dopo la fine dell’attività eruttiva, Surtsey ce l’ha fatta, grazie alla sua “corazza” di lava che l’ha resa meno vulnerabile all’erosione, Surtsey è rimasta un’isola, e nel 2008 è stata proclamata Patrimonio dell’UNESCO per essere un’isola-laboratorio incontaminata e protetta fin dalla sua emersione dal fondo del mare, esattamente 59 anni fa.