Il prof. Mantovani: “terremoto nelle Marche conferma le previsioni, sappiamo dove colpirà il prossimo forte sisma”

Il prof. Enzo Mantovani rivendica la correttezza delle previsioni sismiche e dopo il terremoto delle Marche illustra i meccanismi che porteranno al prossimo grande sisma "tra Alta Valtiberina, Appennino Forlivese e fascia costiera Rimini-Ancona"
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Per difenderci dagli effetti dei terremoti, la cosa più efficace è rendere gli edifici esistenti in grado di resistere alle scosse attese nelle rispettive zone. Considerato però che in Italia la quantità di edifici costruiti senza criteri antisismici è largamente maggioritaria, l’operazione di messa in sicurezza richiederebbe una quantità di risorse talmente elevata da richiedere un periodo molto lungo di sviluppo“. Lo afferma il prof. Enzo Mantovani, docente di Fisica Terrestre presso il Dipartimento di Scienze Fisiche, della Terra e dell’Ambiente dell’Università di Siena.

Per cercare di superare questa lentissima strategia di prevenzione – prosegue Mantovanisi potrebbe prendere in considerazione una soluzione alternativa, basata sull’assunzione che le attuali conoscenze sull’assetto sismotettonico dell’area in esame permettano di riconoscere le zone più esposte alle prossime scosse forti in Italia. Questa informazione consentirebbe di concentrare le limitate risorse disponibili nel breve termine nelle zone dove l’intervento edilizio sugli edifici può essere più urgente, rendendo meno grave il mancato intervento nelle restanti zone.  Per esempio, agli incentivi di ristrutturazione edilizia su tutto il paese (Sismabonus) si potrebbe affiancare un progetto parallelo dedicato alle zone sismiche considerate prioritarie“.

“Per capire la fattibilità di questa interessante prospettiva, è fondamentale chiarire se il presunto riconoscimento delle zone sismiche prioritarie può essere sufficientemente attendibile. Di questo problema – sostiene ancora l’esperto – dovrebbe occuparsi la comunità scientifica, organizzando incontri tra tutti gli esperti del settore, dove sia possibile valutare le varie opinioni alla luce della loro compatibilità con il quadro estremamente vasto delle evidenze disponibili. In particolare, questo controllo andrebbe effettuato sulla metodologia proposta dal nostro gruppo di ricerca, la cui plausibilità è supportata da una lunghissima e accurata analisi di tutte le evidenze disponibili. La possibilità che le informazioni fornite da questa metodologia siano affidabili è in particolare suggerita dal fatto che gli ultimi terremoti forti in Italia (quelli avvenuti in centro Italia nel 2016-2017 e quello che ha colpito la costa marchigiana nel 9 Novembre scorso) si sono verificati nelle zone che erano state segnalate come prioritarie.  La descrizione di questi studi è riportata in varie pubblicazioni, con particolare riguardo a quelle citate di seguito:

  • Short-term kinematics of the Adria plate and space-time distribution of major peri-Adriatic earthquakes, 2022. Enzo Mantovani 1, Marcello Viti 1, Daniele Babbucci 1, Caterina Tamburelli 1, Massimo Baglione2, Vittorio D’Intinosante 2  (in pubblicazione sulla rivista International Journal  of Geosciences).
  • Stima aggiornata della pericolosità sismica in Toscana e aree circostanti,  2018.  Enzo Mantovani 1, Marcello Viti1, Daniele Babbucci1, Caterina Tamburelli1 Andrea Vannucchi1, Massimo Baglione2, Vittorio D’Intinosante2 , Nicola Cenni3, 2018. Universitas Studiorum Ed., ISBN 978-88-3369-014-8, pag. 3-88.

1Dipartimento di Scienze Fisiche, della Terra e dell’Ambiente, Università di Siena, 53100 Siena, Italy

2Settore Sismica, Ufficio Prevenzione Sismica, Regione Toscana, Italy  

3 Ricercatore indipendente (mantovani@unisi.it)

In sintesi, le indagini riportate nei lavori sopra indicati mettono in evidenza che le scosse maggiori lungo le zone periAdriatiche (Grecia, Albania, Croazia, Slovenia, Alpi, Appennini, Calabria) tendono a migrare dalle zone meridionali a quelle settentrionali. Questo comportamento sembra ripetersi ogni 150-200 anni e trova una plausibile spiegazione nell’ambito del quadro tettonico dell’area in esame, considerato che le zone citate circondano la placca adriatica e che quindi la loro sismicità è strettamente connessa con il progressivo spostamento di tale solida struttura rispetto alle zone circostanti. Dal 1600 al 1930 è possibile riconoscere 4 sequenze migranti, in cui crisi sismiche forti hanno colpito quasi tutte le zone periadriatiche, passando da quelle meridionali al fronte alpino. Dopo il 1930, la sismicità ha finora prevalentemente interessato le zone appenniniche meridionali e quelle centrali“.

terremoti faglie rischio sismico centro italia
Principali terremoti (di magnitudo superiore a 5.5) avvenuti dal 1930 nella catena appenninica. Il numero all’interno del circoletto indica l’anno di occorrenza. Le dimensioni dei circoletti sono proporzionali alla magnitudo. La fascia marrone corrisponde al settore di catena che si sta muovendo con velocità (geologiche) più elevate rispetto al settore tirrenico. Le line nere con triangolini indicano i fronti esterni dei settori di catena in avanzamento

Considerata questa distribuzione di sismicità, le regolarità riconosciute nelle 4 sequenze sismiche precedenti e il quadro tettonico della zona in esame, è ragionevole supporre che molto probabilmente le prossime scosse principali si verificheranno lungo i bordi del settore appenninico mostrato nell’immagine successiva (cuneo Romagna-Marche-Umbria), in particolare nelle zone identificate come Alta Valtiberina, Appennino Forlivese e fascia costiera Rimini-Ancona. Il fatto che il terremoto del 9 novembre scorso abbia colpito quest’ultima zona sembra indicare che la previsione sopra citata si stia verificando. A questo punto, vale inoltre la pena di ricordare che nelle sequenze sismiche precedenti (1600-1930) le tre zone sopra citate si sono sempre verificate entro 10-20 anni le une dalle altre. Cioè, quando se ne attiva una la probabilità che si attivino le altre due aumenta significativamente“.

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La zona gialla identifica il settore appenninico denominato cuneo Romagna-Marche-Umbria (RMU). Le linee rosse indicano i bordi settentrionali di questo cuneo. La presunta cinematica del cuneo RMU (dovuta alla spinta della catena appenninica orientale) è indicata dalla freccia

Il quadro tettonico dell’appennino settentrionale implica che il cuneo RMU stia trasmettendo la spinta dell’intera catena al settore più settentrionale (Appennino Tosco-Emiliano). Quindi, fino a che le faglie che circondano il cuneo RMU (Alta Valtiberina e Forlivese) non cederanno, la pericolosità sismica interesserà anche le zone sismiche dell’Appennino tosco-emiliano, come è avvenuto nel 2012, con la scossa della pianura padana. Le considerazioni riportate in questa nota, e soprattutto nelle pubblicazioni citate, potrebbero stimolare la politica di prevenzione antisismica in Italia a promuovere per le zone sopra citate una campagna di incentivi  per interventi di messa in sicurezza del patrimonio edilizio. In caso di scosse forti (come quelle già avvenute nelle zone in oggetto), i costi di questa operazione verrebbero largamente compensati dal fatto che i danni a cose e persone sarebbero molto più limitati, comportando costi molto più ridotti di ricostruzione e soprattutto un significativo risparmio di vite umane. Senza poi considerare che l’eventuale successo di una tale operazione di prevenzione antisismica susciterebbe un grande interesse scientifico e sociale in tutto il mondo. Questo tipo di iniziativa è già stato adottato qualche anno fa dalla Regione Toscana che ha stabilito criteri di priorità (basati su nostre indicazioni) nello stanziamento di fondi per interventi di messa in sicurezza nelle varie zone sismiche della regione”, conclude il prof. Mantovani.

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