Ieri, lunedì 6 febbraio, la zona di confine tra Turchia e Siria è stata colpita da devastanti terremoti che hanno provocato morte e distruzione diffuse. Alla tragedia si aggiungono anche le difficoltà del meteo, con neve e gelo che ostacolo i soccorsi e si abbattono sugli sfollati. E i terremoti continueranno ancora nei prossimi giorni. “Purtroppo è molto probabile che nelle prossime due-tre settimane ci saranno nuove repliche piuttosto frequenti, soprattutto nelle zone vicine all’epicentro. Tipicamente però, le scosse dovrebbero ridursi col tempo, così come dovrebbe scemare la loro intensità“, ha spiegato a LaPresse la Dottoressa Patricia Martínez-Garzón, esperta del Centro di Ricerche Geofisiche GFZ di Potsdam.
Secondo la Dottoressa Martínez-Garzón, che guida un gruppo di ricerca all’interno della sezione di Geomeccanica e Perforazioni Scientifiche del GFZ, “difficilmente dovrebbe ripetersi un altro terremoto di intensità superiore a magnitudo 7, ma non possiamo escluderlo completamente”. “C’è un precedente: quello del terremoto di magnitudo 7.6 del 1999 sempre in Turchia nel quale morirono 17mila persone. In quel caso, novanta giorni dopo, ci fu un’altra scossa di magnitudo 7.1“, ha aggiunto.
Le recenti scosse di terremoto si sono verificato sulla faglia dell’Anatolia orientale, lunga circa 800 chilometri. “Ci sono dei precedenti storici di terremoti di magnitudo 7.7 legati a quest’area – ha spiegato ancora la Dottoressa Martínez-Garzón – Sicuramente c’è quello avvenuto quasi mille anni fa. Poi ci sono stati altri terremoti, in particolare uno avvenuto nel 1893 di magnitudo 7.1. Questo ci dice che grossi terremoti sono avvenuti in questa faglia. Ma nell’ultimo secolo non ci sono stati terremoti di magnitudo 7 nella zona. Di principio, si poteva ipotizzare che ce ne sarebbe stato un altro di questa intensità. Ma era impossibile sapere quando”. “I terremoti sono imprevedibili in natura – ha proseguito – perché le faglie e le placche tettoniche sono molto complesse. Non sappiamo ancora completamente qual è il processo fisico che provoca questi terremoti. Per questo è molto difficile dire quando e dove potranno avvenire”.
Il GFZ collabora con l’Autorità turca per la gestione delle emergenze e disastri (Afad) e sta seguendo da vicino quanto accaduto nella regione. “Da tempo esiste una collaborazione con Afad per ottimizzare il monitoraggio nella zone a rischio in Turchia, in particolare nella regione di Marmara”, ha spiegato ancora l’esperta del GFZ. “Sappiamo che la faglia anatolica settentrionale, non quella orientale che ha provocato quest’ultimo terremoto, è stata particolarmente attiva e costituisce un rischio per la popolazione metropolitana nella zona di Istanbul. Di conseguenza, conduciamo delle ricerche che speriamo possano aiutare ad informare Afad sul comportamento delle faglie, così che possano poi agire di conseguenza”.
Il recente terremoto è stato particolarmente devastante anche a causa della tipologia degli edifici nelle zone colpite, molti dei quali si sono completamente disintegrati. Secondo l’esperta del Gfz sarà importante ora cercare di “osservare i codici di costruzione” per le regioni a rischio. “Certo non sarà facile farlo su larga scala. In molte città, gli edifici non erano stati costruiti con i giusti criteri. La speranza è che questa sia un’opportunità per ricostruire con le regole appropriate, e che possano essere realizzati edifici antisismici”, ha aggiunto la Dottoressa Martínez-Garzón.