Raccomandazioni, dichiarazioni e allarmi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità “ignorati“, tra il 5 gennaio e il 4 febbraio 2020: uno del 23 gennaio riportava già “l’esistenza di grandi cluster” in giro per il mondo e non solo in Cina. Almeno 5 riunioni del Comitato tecnico scientifico, tra il 26 febbraio e il 1° marzo, nelle quali non si prese alcuna misura per il focolaio più grave, quello di Alzano e Nembro, in Val Seriana. E’ quanto emerge, tra le altre cose, dagli atti dell’indagine della Procura di Bergamo, che documenta presunte sottovalutazioni dei rischi e omissioni “consapevoli“, oltre a quella cifra di più di 4mila morti che, secondo la maxi consulenza di Andrea Crisanti, si sarebbero potuti evitare. Gli inquirenti evidenziano che non furono tenute in considerazione preoccupazioni e indicazioni messe nero su bianco dall’OMS. Il 4 febbraio, l’Organizzazione “raccomandava di affrontare l’emergenza pandemica anche con i vigenti piani influenzali“. Brusaferro e gli altri, invece, per l’accusa, scelsero “di non dare attuazione al piano“, e, così, si arrivò impreparati alla “catastrofe“. Una “piattaforma per caricare i dati finalizzati alla sorveglianza epidemiologica” venne creata solo il 26 febbraio, non ci fu alcun “tempestivo approvvigionamento” di mascherine e solo il “6 marzo” partì una “procedura negoziata per l’acquisto di dispositivi medici per terapia intensiva“. Sono soltanto alcune delle “azioni” che, per i pm, non sono state messe in campo prima che l’Italia facesse i conti col Covid.
Il professor Andrea Crisanti, microbiologo all’Università di Padova, in prima linea nell’affrontare uno dei primissimi focolai di Covid a Vo’ Euganeo, oggi senatore del Pd, ha firmato la consulenza chiave commissionata dal pm di Bergamo.
L’allora ministro Roberto Speranza, “il prof Brusaferro, il dott. Miozzo, il dott. D’Amario” erano “a conoscenza del Piano Covid“, degli “scenari di previsione” e “della gravità della situazione” e presero “la decisione di segretare il piano per non allarmare l’opinione pubblica“. Circostanza di cui erano “a conoscenza” anche “i vertici di Regione Lombardia“, ha scritto nella sua relazione, agli atti dell’inchiesta di Bergamo, Andrea Crisanti che parla di “responsabilità degli organi decisionali nazionali (Cts, ministero della Sanità e Presidenza del Consiglio) e di Regione Lombardia” nella mancata zona rossa in Val Seriana.
“Per 16 anni” ossia dal 2004 al 2020, non è “mai stata intrapresa una singola attività o progetto che avesse l’obiettivo di valutare lo stato di attuazione del Piano Pandemico Nazionale e/o di verificare lo stato di preparazione dell’Italia nei confronti del rischio pandemico“, ha proseguito Crisanti.
“Già dal giorno 12.02.2020“, ossia 8 giorni prima del Paziente 1, i componenti prima della della task force del ministero e poi del Cts, erano “consapevoli della difficoltà di reperire Dpi e materiali per la loro produzione” e quindi conoscevano “la situazione di vulnerabilità in cui si trovava l’Italia e del rischio a cui avrebbero esposto la popolazione e gli operatori sanitari non prendendo iniziative idonee“, ha scritto il microbiologo Andrea Crisanti nella relazione agli atti dell’inchiesta sulla gestione del Covid in Val Seriana in cui tra gli indagati ci sono l’ex premier Conte, l’ex ministro Speranza e i suoi tecnici.
Nei giorni 27 e 28 febbraio 2020 “il Cts e il ministro Speranza hanno tutte le informazioni sulla progressione del contagio che dimostravano come lo scenario sul campo” fosse “di gran lunga peggiore di quello ritenuto catastrofico“. Le “informazioni sulla gravità della situazione” ad Alzano e Nembro furono oggetto di una riunione del Cts del 2 marzo “non verbalizzata ufficialmente” alla presenza “del ministro Speranza e del presidente Conte“. Speranza e Conte “raccontano alla Procura di Bergamo di essere venuti a conoscenza del caso di Alzano e Nembro rispettivamente” il 4 e il 5 marzo.
“La documentazione acquisita – scrive Crisanti – dimostra oltre ogni ragionevole dubbio di come il Cts, il Ministro Speranza e il Presidente Conte avessero a disposizione tutte le informazioni e gli strumenti per valutare la progressione del contagio e comprendere le conseguenze in termini di decessi“. Sulla base “delle previsioni dello scenario con Rt=2 il Cts stesso e il Ministro Speranza condivisero la decisione di secretare il Piano Covid“, elaborato dall’epidemiologo Stefano Merler, “per non allarmare l’opinione pubblica“. Sulla riunione del 2 marzo del Cts con Conte e Speranza, Crisanti scrive che “il Dott. Miozzo stende il verbale” che “non condivide con nessuno e rimane in suo possesso“. Nella consulenza viene riportato anche quel “modello matematico” con cui Crisanti ha stimato l’effetto che misure più restrittive e tempestive, come la zona rossa, avrebbero avuto “sulla diffusione del virus e della mortalità“. La zona rossa in Val Seriana, si legge, “al giorno 27 febbraio 2020 e al giorno 3 marzo 2020 avrebbe permesso di evitare, con una probabilità del 95%, rispettivamente 4148 e 2659 decessi“. Il 27 febbraio, secondo la consulenza, è la data in cui “il Cts e Regione Lombardia erano diventati consapevoli della gravità della situazione“. Anche il governatore lombardo Attilio Fontana e l’allora assessore Giulio Gallera erano “informati sulla previsione degli scenari e sulla decisione di segretare il piano Covid“. Sapevano, stando alla relazione, così come “gli organi decisionali nazionali“, che “al più tardi il 28 febbraio” l’indice di trasmissione aveva raggiunto e “superato il valore di due“. E la “diffusione del contagio non lasciava dubbi che le azioni intraprese non stavano avendo effetto“. E “ciononostante – ha sottolineato il microbiologo – per 10 giorni non vengono prese azioni più restrittive“.
L’Italia, quando è scoppiata l’epidemia di Covid, “aveva un manuale di istruzione, questo era il piano pandemico. Se poi ha affrontato la pandemia senza un manuale è perché questo (…) è stato scartato a priori senza essere valutato dai principali organi tecnici del ministero“, ai quali l’ex ministro Speranza “fa riferimento (…) quando afferma che il piano era datato e non costruito specificamente su un coronavirus ma su un virus influenzale“.
Il 24 febbraio 2020 “il Cts evidenziava che in assenza di sintomi il test era ingiustificato” parlando del rischio di “una ‘sovrastima del fenomeno sul Paese’“. Una indicazione che “avrà gravi conseguenze invece per comprendere cosa stava realmente accadendo“, perché il “conteggio dei casi asintomatici” avrebbe dato “informazioni cruciali sull’entità della diffusione” del Covid.